“Vivere e morire in trincea”. Questo è il titolo del nuovo libro di Marcello Caremani che, insieme al figlio Francesco, ha condotto un’indagine volta a portare alla luce le difficoltà e le sofferenze vissute dai soldati nelle trincee durante la Prima guerra mondiale, nella quale contrassero molte malattie, alcune conosciute e altre mai viste. Il saggio, edito da Arancia Publishing (marchio di Bradipolibri), già disponibile su Amazon e presto nelle librerie aretine, si sviluppa su un doppio piano storico e sanitario attraverso una ricerca supportata dagli studi e dalle competenze professionali di Caremani, già direttore dell’Unità Operativa di Malattie infettive e del Dipartimento di Medicina specialistica dell’Ospedale San Donato e poi assessore comunale alle politiche sociali e sanitarie.
Questa formula, tra l’altro, torna a essere proposta a distanza di tre anni dalla pubblicazione del successo editoriale “Un consulto clinico 2000 anni dopo. Patologie e cause della morte di Alessandro Magno”, nel quale lo stesso scrittore approfondì il mistero del decesso in giovane età del re macedone.
“Vivere e morire in trincea” racconta le sofferenze patite durante la Grande Guerra che resero difficile il lavoro del personale sanitario a causa di patologie originate dalle cattive condizioni di vita e dall’assenza di igiene personale con il pullulare di parassiti e topi. L’assembramento nelle trincee era tale che, quando insorgeva una malattia diffusiva, il morbo dilagava colpendo e uccidendo centinaia di soldati, come nei casi più diffusi di tifo petecchiale o colera. Un particolare focus sarà orientato verso le due patologie che hanno maggiormente contraddistinto questa guerra: il piede da trincea e lo Shell Shock. Il primo colpì prevalentemente le estremità inferiori del corpo umano a causa di freddo, umidità, fango e scarsa igiene richiedendo in alcuni casi l’amputazione dell’arto, mentre lo Shell Shock (o “Scemo di guerra”) fu una nuova patologia bellica che emerse proprio tra il 1915 e il 1918 a causa del massiccio fuoco di artiglieria che spesso sconvolgeva la mente dei giovani soldati che dai loro comandanti venivano trattati come codardi e non come malati. «Tutti questi drammi sono raccontati nel libro con un doppio piano narrativo: tra lo storico e il sanitario - commenta Marcello Caremani. - Ma, come quelli che da sempre coinvolgono l’umanità, furono, volenti o nolenti, anche grandi stimoli alla ricerca medico-scientifica e al progresso, come è successo durante la Prima guerra mondiale. Un grande cambiamento, ad esempio, avvenne con la creazione dell’ipoclorito di sodio che rappresenta la prima vera medicazione antibatterica, ma un altro preparato di notevole importanza fu la tintura di iodio utilizzata per la prima volta dall’esercito italiano nella campagna di Libia. Il libro, realizzato con il prezioso contributo di mio figlio Francesco, nasce dunque con l’intento di raccontare e di indagare, sul piano sanitario, una delle pagine più tristi del Novecento e, in generale, della storia».