Né i ricercatori sociologici imparziali, né i tribunali possono subito considerare l’apostata come una fonte di prova credibile o attendibile. Deve sempre essere visto come uno la cui storia personale lo predispone a un giudizio distorto
Per molti anni Bryan R. Wilson (1926-2004) ha condotto studi su Scientology, sul Cristianesimo e su molte altre fedi. Wilson sceglie quiScientology come esempio di una nuova religione, facendone un paragone con la tradizione cristiana. In Inghilterra Wilson è stato uno dei più conosciuti studiosi delle religioni e fornisce qui di seguito il suo provocante pensiero che stimolerà una discussione.
Ogni religione che rivendica precise dottrine e pratiche considerate come proprie in modo esclusivo, di tanto in tanto è suscettibile di trovarsi di fronte a ex membri che ritirano la loro alleanza e smettono di aderire alle formalità della fede, per lo meno per quanto riguarda alcuni, forse tutti, i suoi insegnamenti, pratiche, organizzazione e disciplina. L’apostasia è stata un fenomeno comune nella storia delle varie denominazioni della tradizione Giudaico -Cristiana - Musulmana. Ogni nuovo scisma da un’organizzazione religiosa già consolidata sarà probabilmente visto, da coloro da cui gli scissionisti si sono separati, come un caso di apostasia. Ci sono stati casi drammatici su larga scala, come quello conosciuto come “il grande scisma” delle chiese orientali (gli Ortodossi) da quelle occidentali (i Cattolici) e nella nascita del Protestantesimo con la Riforma. (Si deve aggiungere, anche solo come nota, che le parti dissenzienti e che si allontanano hanno non meno spesso accusato di apostasia quelli che rimanevano nell’ente ufficiale nei confronti di qualche standard putativo di fede e pratica).
Dato il numero di enti religiosi nel regno Cristiano che ha avuto origine da uno scisma, deve essere chiaro che l’apostasia è stata un avvenimento molto diffuso e comune.
Ciononostante, non tutti gli episodi di apostasia sono sfociati nella formulazione di una parte o setta religiosa deviante e separata. Non si deve considerare una apostasia di tipo minore quella per cui il credente di un tempo rinuncia ai suoi voti e alla sua precedente fedeltà religiosa. Alla fine del diciannovesimo e inizio del ventesimo secolo, in un momento di crisi nel credo Cristiano, ci furono alcuni casi clamorosi di apostasia della Chiesa Cattolica Romana. Fu spiegato che erano avvenuti in quella chiesa a causa del rigore dei suoi requisiti di credo e pratica; a causa della sua resistenza al modernismo e in particolare per aver incoraggiato i più devoti tra i suoi seguaci ad abbracciare gli ordini monastici o le congregazioni.
Alcune delle sordide storie sulla vita monastica raccontate da suore e monaci apostati, come il clamoroso caso di Maria Monk che fu largamente pubblicizzato, si rivelarono in gran parte inventate, ma furono ampiamente usate come propaganda dai media anti-cattolici del momento. Nell’era attuale di pluralismo religioso, in cui lo spirito ecumenico prevale tra la maggior parte delle confessioni cristiane, e in cui il cosiddetto “cambio” di alleanza da uno di questi movimenti all’altro non è insolito, l’accusa di apostasia si sente molto meno, ma dal 1960, con la nascita nella società occidentale di nuovo movimenti di minoranza che hanno insegnamenti religiosi distintivi e che richiedono un grande senso di impegno specifico, un membro che si allontana viene spesso visto come un apostata, e ancora di più, naturalmente, se quel membro poi procede nel ridicolizzare o criticare aspramente le sue precedenti credenze o nel calunniare coloro che erano una volta i suoi compagni più vicini.
Negli ultimi decenni, a causa dell’emergere di così tanti enti religiosi che richiedono una forte prova di lealtà ai loro membri, i casi di apostasia sono diventati una questione di considerevole attenzione da parte dei mass media. La storia dell’apostata, in cui è presentato come vittima, viene vista come una buona storia giornalistica, specialmente se questo si offre di “rivelare” aspetti, talvolta segreti, del movimento di cui ha fatto parte. Di conseguenza, gli apostati ricevono forse un’inaspettata quantità di attenzione da parte dei mass media, specialmente quando riescono a presentare la loro precedente fedeltà in termini di vulnerabilità e manipolazione, inganno o coercizione esercitati dai leader e membri del movimento al quale si erano uniti. Poiché questi racconti sono spesso l’unica informazione disponibile al pubblico generico riguardo alle minoranze religiose, e certamente l’informazione più largamente divulgata, l’apostata diventa una figura centrale nella formazione (o formazione negativa) dell’opinione pubblica per quanto riguarda questi movimenti.
Studiosi interessati alle minoranze religiose, ed in particolare i sociologi, nel cui campo questo soggetto ricade in modo particolare, di solito perseguono le loro inchieste accademiche attraverso una varietà di metodi ben riconosciuti. Raccolgono informazioni non solo da ricerche di archivio e dallo studio di materiali scritti o documenti, ma anche attraverso un’osservazione attiva, interviste, questionari d’inchiesta e direttamente al punto qui trattato, dall’informatore. Gli apostati sono spesso informatori molto volonterosi, ma i sociologi in generale sono molto cauti per quanto riguarda la potenziale fonte di prova. Come ho scritto altrove, discutendo delle tecniche di inchiesta da parte dei sociologi:
“Gli informatori che sono dei semplici contatti e che non hanno motivazioni personali per quello che dicono, devono essere preferiti a coloro che, per dei loro scopi, cercano di usare il ricercatore. La persona ostile e l’apostata sono in particolare informatori la cui prova va usata con circospezione. L’apostata in generale ha bisogno di auto-giustificazione. Cerca di ricostruire il suo passato, di scusare le sue precedenti affiliazioni e di incolpare quelli che prima erano i suoi compagni più stretti. Non è insolito che l’apostata impari a ripetere una ‘storia di atrocità’ per spiegare come, tramite manipolazione, truffa, coercizione o inganno egli sia stato indotto a unirsi o rimanere all’interno di un’organizzazione a cui egli ora ha rinunciato e che condanna. Gli apostati sensazionalizzati dalla stampa, qualche volta hanno cercato di trarre profitto dalle storie delle loro esperienze vendute ai giornali o prodotte come libri (a volte scritti da “negri”). [Bryan Wilson, The Social Dimensions of Sectarianism, Oxford: Clarendon Press, 1990, p.19.]
I sociologi e altri studiosi di minoranze religiose sono giunti a riconoscere una particolare costellazione di motivazioni che inducono gli apostati ad assumere delle posizioni in relazione al loro coinvolgimento religioso precedente e al successivo abbandono. L’apostata ha bisogno di affermare la sua credibilità sia riguardo della sua precedente conversione che al suo successivo abbandono. Giustificare se stesso riguardo al suo voltafaccia richiede una spiegazione plausibile sia della sua (spesso improvvisa) aderenza alla fede di un tempo e del suo spesso non improvviso abbandono e condanna di essa. Gli studiosi hanno cominciato a riconoscere la “storia di atrocità” come un genere distintivo dell’apostata, e sono anche giunti a vederlo come una categoria riconoscibile di fenomeni. [A.D. Shupe, Jr., and D. G. Bromley, "Apostates and Atrocity Stories", in B. Wilson (ed.), The Social Impact of New Religious Movements, New York, Rose of Sharon Press, 1981, pp. 179-215.]
Di solito l’apostata si descrive come qualcuno che è stato introdotto alla sua precedente fede in un momento in cui era particolarmente vulnerabile, depresso, isolato, senza supporto sociale ed economico, alienato dalla propria famiglia o da qualche circostanza simile. Ora dipinge i suoi ex compagni come persone che lo hanno convinto usando false affermazioni, inganni, promesse d’amore, supporto, prospettive migliori, aumentato benessere e simili. E l’apostata procede nella sua storia dicendo ora che in realtà essi erano falsi amici, che cercavano solo di sfruttare la sua buona volontà e di ottenere da lui ore di lavoro estenuanti senza alcuna ricompensa, o tutto il denaro o possedimenti egli avesse. Perciò l’apostata si presenta come “una persona che si è salvata”, come qualcuno non responsabile delle sue azioni nel momento in cui è stato introdotto alla sua precedente religione, e come qualcuno che è “tornato in sé” quando se ne è andato. Essenzialmente il suo messaggio è che “data la situazione, poteva accadere a chiunque”. Loro sono completamente responsabili e loro agiscono con premeditazione contro vittime fiduciose ed innocenti. Attraverso una tale rappresentazione del caso, l’apostata trasferisce la responsabilità per le sue azioni precedenti e cerca di reintegrarsi nella più ampia società che egli ora cerca di influenzare contro il gruppo religioso che ha recentemente abbandonato.
I nuovi movimenti - i cui insegnamenti, pratiche e credo sono relativamente poco conosciuti - e la cui organizzazione è caratterizzata da termini nuovi o riadattati, sono i più suscettibili di sospetto da parte del pubblico; se hanno insegnamenti segreti o non rivelati o se appaiono eccessivamente diligenti nel cercare di fare opera di conversione o se hanno un interesse particolare verso una parte della comunità (ad esempio i giovani, gli studenti, le minoranze etniche, gli immigrati ecc.) o se le promesse di benefici ai credenti eccedono le aspettative giornaliere del pubblico di massa, allora essi possono diventare facilmente oggetto di pubblico disprezzo o perfino di ostilità. Le “storie di atrocità” raccontate dagli apostati, in particolare quando amplificate dalla smania di sensazionalismo della stampa, alimentano queste tendenze e aumentano il valore di notizie relative a ulteriori “storie di atrocità”. I giornali sanno come riassumere storie sensazionali precedenti quando trovano storie di una vena simile riguardo a movimenti particolari - una pratica conosciuta ai sociologi come l’uso del “sommario negativo degli eventi” . ["Questo si riferisce alla descrizione giornalistica di una situazione o di un evento in modo da catturare ed esprimere la sua essenza negativa come parte di una storia discontinua e lenta. Un fatto apparentemente a sé stante viene quindi usato come occasione per fissare nella mente del pubblico un più vasto fenomeno controverso.” -- James A. Beckford, Cult Controversies: The Societal Response to New Religious Movements, London, Tavistock, 1985, p. 235.] Con questi mezzi, l’aggiunta drammatica della storia di un apostata viene rafforzata nel suo significato a detrimento di un’inchiesta neutra e obiettiva sui fenomeni religiosi del genere di quelle intraprese da esperti sociologi. Gli enti religiosi contemporanei, operando in un contesto di rapido cambiamento sociale e di cambiamento di percezione delle credenze religiose e spirituali sono spesso particolarmente suscettibili di discredito e travisamento, che deriva dalla circolazione e ripetizione delle storie degli apostati.
Né il ricercatore sociologico obiettivo, né il tribunale possono prontamente considerare l’apostata come fonte di prova credibile o affidabile. Egli deve sempre essere visto come qualcuno la cui storia personale lo predispone al pregiudizio, sia per quanto riguarda il suo precedente coinvolgimento, che le sue connessioni: ci deve essere il sospetto che la motivazione personale in base alla quale agisce altro non è che un tentativo di discolparsi e riguadagnare l’autostima, dando di sé l’immagine di qualcuno che è stato prima una vittima e poi è diventato un crociato redento. Come molti esempi hanno dimostrato, è probabile che egli sia suggestionabile e pronto ad ampliare o ricamare le sue lamentele per soddisfare quella specie di giornalisti più interessati a scrivere una storia sensazionale che a un’affermazione obiettiva della verità.
Il lavoro di Bryan Wilson, PhD Membro Emerito del Senato Accademico Università di Oxford Inghilterra, può essere scaricato seguendo questo link: APOSTATI E NUOVI MOVIMENTI RELGIOSI