PSICOLOGIA DEL FIGLIO UNICO
In italia il modello del figlio unico è quello più diffuso. La famiglia monofiglio è il futuro? A giudicare dalle statistiche si direbbe di si, ma bisogna considerare che la rinuncia ad avere almeno due figli, più che una scelta culturale possa essere l’effetto della grande crisi economica di questi anni.
L’età per mettere al mondo un figlio si è alzata, perché la precarietà lavorativa ha spostato l’indipenenza econimica intorno ai 40 anni, ed il basso reddito produce insicurezza nei neogenitori.
La paura di non avere sufficenti mezzi finanziari scoraggia le mamme e i papà ad andare oltre il primo genito, questo , dal punto di vista delle relazioni sociali e della psicologia individuale, ha diverse conseguenze.
Chi cresce vivendo a stretto contatto dei sui pari, cioè fratelli, cuginetti, vicini di casa, compagni di classe, impara a collaborare, a mettere in secondo piano i propri bisogni, per favorire il gruppo, ad affrontare e risolvere i problemi in autonomia.
E’ il potere dei cosidetti ‘’rapporti orizzontali’’ : costringono i bambini a mettersi in gioco, a confrontarsi con gli insuccessi ed a sopportare e gestire la competizione sociale.
Un’apprendistato che li rende preparati ad affrontare l’età adulta prima dei coetanei che crescono in un ambiente dove i bambini sono pochi. Ciò non implica, però, che i figli unici non trovino, con tempistiche diverse, la strada per le medesime sfide con altrettanto successo.
L’affetto e la cura possono essere troppi? Chi vede solo i limiti del figlio unico pensa di si, perché ritiene che i genitori, concentrati nel crescere un solo individuo, lo investano di attenzioni e amore ma allo stesso tempo anche di troppe aspettative emotive. Un bimbo senza fratelli è sempre ‘’sotto i riflettori’’ e sia i suoi successi che i suoi errori finiscono per essere ingigantini. Per lui la possibilità di sfuggire al controllo genitoriale e fare esperienze in autonomia è assai limitata e la tentazione di ricorrere alla protezione dei grandi è molto forte. Paradossalmente è chi non ha rivali nell’amore dei genitori a pretendere attenzioni esclusive, ma, come si è detto, nessun comportamento infantile deve essere considerato un ‘’vizio’’.
Il figlio unico che piange se viene minimamente contrariato, pretende di essere portato in braccio quando potrebbe camminare e impone ogni sorta di pretesa sta inviando un messaggio chiaro: è insicuro e non sa affrontare il mondo. Per aiutarlo non è necessario dargli un fratellino, ma occorre ascoltarlo e seguirlo attraverso un percorso che lo porti in contatto con bambini della sua età.
I figli unici sono intellettualmente più precoci della maedia. Questa marcia in più deriva dalla frequentazione quasi esclusiva di individui di età maggiore, che ne stimolano il linguaggio, ma anche di una maestra insospettabile, la noia. Un bimbo che cresce da solo ha molti momenti ‘’vuoti’’ che deve riempire con l’immaginazione. L’introspezione lo aiuta a relazionarsi meglio con le sue emozioni e il bisogno di esprimersi lo avvicina a pratiche come la lettura, la musica, e la pittura. La possibilità di gestire in maniera autonoma lo spazzio della sua cameretta gli fa sviluppare un buon senso dell’ordine e della disciplina.
Psicologo Dott.sa Gaudio
Fonte notizia
www.mariangelagaudio.it