"Posso chiederti una sorta di sinossi di questo libro?"
Trattandosi di poesia una sinossi rischia di essere pletorica, auto-celebrativa, ruffiana e comunque inutile.
Posso solo dire che in "CENTO CANTI" c'è tutta la vita che sin qui ho vissuta: essi ne cantano la contrazione galvanica quale inutilità dolorosa, la sua dissipazione nel tradimento di ogni naturale aspettativa, il nichilismo panico, l'amore carnale celebrato come ebbrezza compulsiva e quello ideale invece sommesso, appena sfiorato nella terza e ultima parte del libro. Riflessi nello specchio dolcemente tagliente della parola in musica dei versi - la scelta della metrica classica è infatti tutt'altro che casuale - l'odiosa mia vita, il suo orribile vuoto, la sua paurosa insensatezza, la marcia vanità del quotidiano, si lasciano andare in forma di canzoniere forse a fin di bene.
"Cos'è per te la scrittura?"
La scrittura è la mistificazione della verità nella parola, giacché ciò che di quella rimane, la sua essenza grafica, non è della parola stessa che segno, alfabeto, grammatica, sintassi. Mancano la voce, il suono, l'origine, il verso, il teatro. Tutto è già epocale, inaugurato, scelto. La verità nella parola è sempre un istante prima, quando essa mostra sé stessa senza dire. La verità della parola è nel silenzio che la precede e nel suono che l'accompagna e in cui infine si perde, come nei melismi gregoriani e nei gorgheggi operistici mozartiani o rossiniani. Ciò che di solito si definisce scrittura creativa non è in realtà che la celebrazione notarile di un'autoreferenzialità più o meno ben concepita. La poesia è altro: essa non può prescindere dall'abbandono, dall'insipiente esuberanza di una deriva.
"Per quanto tempo hai lavorato a questo libro?"
Ho impiegato anni per arrivare alla forma definitiva dei "CENTO CANTI".
Mi piace immaginarla come una sorta di pianta che viene alla luce a partire dalle radici e dal fusto, rappresentati dalle meditazioni esistenziali che compongono la prima parte, ELEGIA DELLE CENERI, e che si libra poi nella fioritura di due rami, quello dell'esistenzialismo vitale e carnale degli amori consumati e perduti della seconda parte, GLI INCONTRI, e il nuovo stilnovismo che, nella terza parte, intitolata TRAÜMEREI, celebra invece la verità di un amore eterno e spirituale che trova nella figura di Chiara (richiamo diretto al mio ultimo romanzo, "L'ULTIMO VIAGGIO DI WERNER MÜDE", uscito nello scorso giugno per i tipi delle edizioni Giacovelli) la sua icona ideale. Non a caso la struttura dei "CENTO CANTI", per il numero dei componimenti e per la loro tripartizione accompagnata da una speculare e progressiva mutazione stilistica, rimanda esplicitamente a quella della "DIVINA COMMEDIA" (Dante, insieme a Leopardi e a Baudelaire, rappresenta da sempre il mio "lar familiaris"). Credo, infine, che la scelta sfrontata e orgogliosa, meditata a lungo e fortemente voluta, dell'uso di forme metriche che attingono all'intera storia della letteratura italiana, utilizzate, consentimi l'immodestia, con perizia tecnica non comune, conferisca a questo mio lavoro un ulteriore e quasi paradossale guizzo di assoluta e consapevole contemporaneità.
"Sei felice quando una tua opera viene pubblicata e vede la luce?"
La felicità è una lampada accesa sulla pietra angolare di un bordello. Io scrivo per stravedere una lucciola.
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