“Siamo come hikikomori che si amano a distanza. E si cercano di notte tra le crepe della stanza” - cantano i popolarissimi Pinguini Tattici Nucleari. Ma chi sono gli Hikikomori, di cui sempre più si parla e sempre meno si sente l’esigenza di interfacciarsi con questa categoria sociale che fa sempre più rumore nel silenzio assordante? Sono tutti quegli individui, in particolar modo giovani, che soffrono di inadeguatezza al punto tale da rinchiudersi non solo dentro sé stessi ma nelle stanze. Un fenomeno che sa di ritiro sociale, con termine giapponese ma allargatosi poi in tutto il mondo a macchia d’olio, anche in Italia. È un fenomeno che potrebbe riguardare tutti, nessuno escluso. E che in Italia è diventato un campanello d’allarme.
Uno studio recente del CNR di Pisa ha individuato in Italia un foltissimo gruppo di hikikomori, circa cinquantamila adolescenti che nel Belpaese vivono esclusivamente rinchiusi in casa, tra le mura della propria camera e che utilizzano Internet come canale quasi del tutto esclusivo per vivere e comunicare. L’età più problematica è quella che va dai quindici ai diciassette anni, con un’incubazione delle cause del comportamento di auto-reclusione già nel periodo della scuola media. Vale a dire subito al principio dell’adolescenza. Lo studio certifica che l’8,2% del totale non è uscito per un tempo che va da uno a sei mesi. Le situazioni più gravi toccano i sei mesi ed oltre di clausura. Sono risultati eclatanti che nessuno si aspettava. Anche perché di questa “sindrome” si parla da poco tempo, all’incirca vent’anni. Ma nel frattempo è cambiato il mondo e con esso la cultura. Oggi si parla di realtà e relazioni virtuali in numero decisamente maggiore per queste generazioni di quanto non fosse per le altre.
Il dato ha un impatto devastante se si pensa agli studenti italiani: gli Hikikomori sarebbero qui l’1,7% della popolazione studentesca totale, circa sessantasette mila studenti italiani. Le cause del loro ritiro sociale sono da rintracciare in fenomeni come il bullismo ed il cyberbullismo anche se resta atavico il problema della comunicazione coi propri coetanei: da qui nascono sentimenti di frustrazione e svalutazione, ansia da prestazione, tipica della società delle performance. Molti di questi percepiscono anzitutto un senso di abbandono e incomprensione da parte della famiglia.
Si è mossa anche la politica perché questo è un disagio che, se sottovalutato, può diventare una bomba ad orologeria senza precedenti. Si parla sempre più di mozioni e di politiche per il disagio giovanile. C’è chi rintraccia i colpevoli nei sempre più presenti social network, chi invece cerca soluzioni pindariche. È vero quel che è nel mezzo: per affrontare l’avanzata dell’Hikikomori, andrebbe prima ammesso che alla base c’è un problema. Ed è un problema di una società che ha lasciato indietro soprattutto la sua componente più giovane.