ROMA 16 NOV 2022 - «La sanità europea si muove a passi da gigante verso una naturale e indispensabile evoluzione, ritenuta fondamentale per affrontare le sempre nuove e impegnative sfide del domani, in primis il fabbisogno, da parte della collettività, di prestazioni sanitarie sempre più qualificate.
Questi cambiamenti, inevitabili, vengono, almeno in determinati Paesi, avallati a pieno da politiche lungimiranti che, al centro del proprio progetto sanitario, inseriscono quelle indispensabili figure professionali che rappresentano le fondamenta su cui basare i sistemi del domani.
Sono ormai tante, quindi, “le isole felici della sanità” in Europa, che si affidano a professionisti le cui competenze di base vengono corroborate con le imprescindibili valorizzazioni economiche, laddove operatori sanitari felici e appagati sono messi nella condizione di offrire il massimo delle proprie potenzialità professionali al servizio della tutela della salute dei cittadini.
Dall’altra parte “la fa da padrone” l’aggiornamento professionale costante offerto al personale sanitario, insieme con la sempre più crescente autonomia di categorie come quella infermieristica, o quella Ostetrica che, operando nel cuore del progetto sanità, garantiscono, nel rapporto diretto con il malato e con il soggetto fragile, anche al di fuori delle realtà ospedaliere, quell’assistenza a 360 gradi che si traduce in un fruttuoso impulso alla sanità territoriale.
Guardando all’Italia e alle attuali condizioni del nostro sistema sanitario, esordisce Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, rispetto a quanto accade negli altri Paesi del Vecchio Continente, non possiamo non sentirci un po’ come la Cenerentola della favola.
Ci riferiamo, in particolare, a quanto accade proprio in questi giorni in Spagna, dove le battaglie della sanità si traducono in novità importanti che per il momento, da noi sembrano davvero obiettivi molto lontani, alla berlina degli umori di potenti lobbies professionali, abituate a mettersi di traverso ogni volta che si parla dell'opportuno riconoscimento organizzativo delle responsabilità infermieristiche.
Il Consiglio direttivo della Comunità di Madrid ha approvato, qualche giorno fa, il Decreto che regola la procedura di accreditamento degli infermieri in relazione all'indicazione, all'uso e all'autorizzazione della dispensazione di medicinali e dispositivi medici per uso umano.
Sembra un cambiamento epocale, ma non lo è. E vi spieghiamo perché.
Da anni decine di Paesi europei, con modalità differenti, attribuiscono agli infermieri, la responsabilità di prescrivere farmaci ai pazienti.
In Spagna, solo per esempio, tutto è iniziato nel 2017, quando il 24 di ottobre fu siglato l’accordo fra l’associazionismo medico e quello infermieristico in tema di prescrizione farmaceutica.
Un avvenimento storico che pose la parola fine ad una diatriba prolungatasi per circa un decennio, sin dalla modificazione della “Ley del Medicamento” del 2006, fino al decreto reale del 2015 sulla prescrizione infermieristica, che a sua volta subì delle modificazioni scaturenti dal confronto fra le due professioni.
Oggi la Spagna si allinea ad altre nazioni del Vecchio Continente, come Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Olanda, Norvegia, Polonia, Svezia e Regno Unito.
Nell’Europa di qualche anno fa le prime nazioni ad introdurre la prescrizione in ambito infermieristico furono il Regno Unito nel 1992 e la Svezia nel 1994. I Paesi che seguirono questa scia furono poi la Norvegia, l’Irlanda e la Danimarca rispettivamente nel 2002, 2007 e 2009.
Dal 2010 ben 8 Paesi (Finlandia, Olanda, Cipro, Polonia, Spagna, Estonia, Francia e il Canton Vaud svizzero) hanno cominciato gradualmente ad autorizzare specifici gruppi di infermieri alla prescrizione di alcuni farmaci, adeguando la loro legislazione in merito, e in tal senso ci risulta che enormi passi in avanti siano stati compiuti anche per le Ostetriche.
Nulla oggi viene lasciato al caso. L’aggiornamento, la formazione costante e la rigorosa selezione dei professionisti meritevoli, mettono nella condizione gli infermieri di prescrivere farmaci ai pazienti, integrando perfettamente le loro funzioni con quelle dei medici.
I paesi coinvolti in questa indagine prevedono un’ampia varietà dei requisiti richiesti agli infermieri per la prescrizione. Per alcuni di questi l’abilità e la competenza nella prescrizione sono parte integrante della formazione infermieristica (laurea triennale, magistrale o una specializzazione ad hoc).
Tra le motivazioni che hanno avviato tali, importanti riforme in Europa, possiamo elencarne almeno tre :
• Aumento delle cronicità
• Implementazione del lavoro multiprofessionale
• Maggior offerta formativa universitaria per gli infermieri
La normativa, naturalmente, cambia da Paese a Paese e i requisiti formativi e prescrittivi sono diversi tra loro.
In ben tre dei tredici Paesi interessati gli infermieri hanno pieni poteri prescrittivi all’interno della loro specialità: l’Irlanda (infermieri che prescrivono), i Paesi Bassi (infermieri specializzati) e il Regno Unito (infermieri prescrittivi indipendenti).
In Norvegia, in Polonia e in Svezia, gli infermieri sono autorizzati a prescrivere inizialmente determinati farmaci da un set limitato di medicinali e devono aver seguito un corso di specializzazione. Solitamente tali corsi, Master universitari o corsi integrativi più brevi, sono previsti più o meno in tutti i Paesi interessati dalle riforme in oggetto.
Nonostante le differenti modalità di azione da Stato a Stato, e nonostante gli incarichi relativi alla prescrizione dei farmaci da parte degli infermieri, siano un percorso graduale e non scontato, non si può non parlare di progressi, che qui in Italia rappresentano ancora dei grandi tabù.
Ma perché accade questo? Perché in Italia gli infermieri rimangono ancora relegati a una serie di pregiudizi organizzativi vecchi ed ingiusti, basti pensare all’impossibilità di svolgere la libera professione al pari dei medici?
E’ lecito chiedersi come mai nel nostro Paese siamo rimasti decisamente indietro rispetto ad altre nazioni nonostante le nostre fonti normative siano anche più avanti di quelle di altri Paesi europei?
Come mai una grande parte dei Paesi europei ha compreso che i propri infermieri, adeguatamente formati, possono assumere nuovi incarichi e responsabilità che rappresentano un sicuro giovamento per il fabbisogno della collettività?
Come mai da noi si assiste ancora ad improvvide ed inconferenti levate di scudi da parte delle solite lobbies professionali, ogni volta che si accenna ad innovare l'organizzazione sanitaria?
Eppure parliamo di spinte sostenute da anacronistici ed oggettivi preconcetti che, nei fatti, impediscono alle componenti di un medesimo sistema sanitario, seppur nel rispetto delle differenti competenze, di collaborare per il raggiungimento di obiettivi comuni.
Nello specifico, proprio in merito alla possibilità che gli infermieri possano prescrivere farmaci, l’Italia poteva e doveva adeguarsi, ma non lo ha fatto.
Le nostre responsabilità, di fatto, negli anni sono aumentate, ma hanno subito l’impatto negativo di una carenza strutturale.
Come non citare la voragine di 80mila unità, che rallenta ogni giorno di più la nostra crescita?
In Italia, si potrebbe prevedere la prescrizione diretta di presidi per l’assistenza infermieristica, della quale l'infermiere è titolare e responsabile, ma anche di farmaci, ad esempio sulla base di protocolli condivisi con gli stessi medici, equiparando gli infermieri che operano nel nostro Paese allo stesso livello dei loro colleghi all’estero.
L’Italia, così come gli altri Stati europei sopra citati, avrebbe dovuto porre in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle citate Direttive Europee entro il 25 ottobre 2013. Ma ciò di fatto non è mai avvenuto.
E mentre gli altri Paesi oggi corrono velocissimi, verso la sempre più crescente autonomia degli infermieri, nella piena comprensione che tutto questo giova non poco alla tutela della salute dei pazienti e alla qualità dei rispettivi sistemi sanitari, in Italia ci muoviamo al ritmo di un pericoloso e preoccupante passo del gambero», conclude De Palma.