Una ricca e originale raccolta di poesie ordinate cronologicamente, a partire dal 1955 fino ai giorni nostri, nelle quali, assieme ai ricordi, fa talvolta capolino il dialetto brianzolo. E’ l’opera “...Sui letti d’erba”, pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore, scritta dall’autore Carletto Bianchi, imprenditore in Brianza e in Africa, nato a Lissone (MB) dove, attualmente, vive. Viaggiatore anche per lavoro tra boschi, fabbriche e foreste, in Europa e nel Mondo, ma specialmente in Africa.
Dopo un omaggio a Magritte, Ungaretti e ai Trobadores, la raccolta di liriche si suddivide in diverse sezioni: Le prime poesie; Di non vissuti anni (‘62 - ‘66) fino al grande viaggio in Usa nel ‘66; 1979... Inizio silloge (Cento Poesie). “Album Africano” (1979/2015); Riscoperta della lingua lombarda 1991; Giovanili. Dal 1951 (15 anni) al 1954 (18 anni). Legate da un unico fil rouge di tematiche ispiratrici: eros e thanatos (“Vita e morte - si legge nei versi - si rappresenta in quest’Amore da sconosciute soglie varcate senza timore”), la libertà, la vita e le grandi bellezze. Quello della libertà, intrecciato alla bellezza, è un concetto che caratterizza gli elementi stilistici della poesia di Bianchi, ma anche il rapporto, sempre costante, tra natura, terra natia, amore e ricordi, nella continua volontà di trasmettere al lettore se stesso e il mondo. L’obiettivo - come suggerisce anche la copertina - è quello di aprire una finestra, una lente, sul mondo del poeta. Il libro, che l’autore dedica alla moglie Luisa “bianca fanciulla del mio cuore”, in diverse poesie è un inno all’amore. Un amore lungo settant’anni; un sentimento speciale e intenso che pervade l’opera e tutta la vita stessa dell’autore. E a Luisa, oltre all’intero libro, sono dedicati anche dei versi intitolati con il suo nome. “Oh uccelli del mattino se il nostro amore fluisse da primavera ad autunno dolcemente e poi morisse nel nido alle gelide albe del primo inverno... raramente obliqui raggi di sole tiepiderebbero il nostro abbraccio eterno”.
A sottolineare il significato delle varie liriche contenute nell’opera è l’autore della Prefazione, Hafez Haidar, che ne coglie l’essenza. In primis, dunque, l’amore: «Il poeta ci presenta con tratto gentile un’altra immagine sedimentata nella memoria, risalente anch’essa al 1955. In una sera di primavera, senza accorgersi della sua presenza, la sua donna racconta alle amiche dei suoi passati amori con leggerezza. Poco lontano da lei, seduto al tavolino a sorseggiare il caffè, Carletto la osserva mentre scherza con le amiche: indossa un vestitino rosa e ha la frangetta scura. La gradevole frescura è stemperata dalla paura, che provoca uno strano dondolio nell’anima e fa lievitare le nebbie dei tormenti e sbiadire i sogni in un mare di rabbia, sgomento e celata mestizia». E, ancora, la natura: «L’immagine bucolica - scrive il candidato Premio Nobel, scrittore, critico e intellettuale libanese naturalizzato italiano - ci immerge nella scena incantata di tempi remoti ma ancora vivi nella mente del poeta, che non dimentica il legame indissolubile con madre natura e con i vecchi compagni d’avventura». La terra natia: «Il poeta è legato indissolubilmente alla terra natia, che gli ha donato lo sprone, fin da piccolo, a diventare un grande imprenditore e a coltivare la passione innata per la poesia. Ed ecco che Lissone viene definito paese amico, luogo di pace e serenità in cui la sveglia è sostituita dai cinguettii allegri degli uccelli festanti». Il suo rapporto con il padre: «Il poeta brianzolo - sottolinea Haidar - esprime la propria devozione al padre, che gli insegnò le astuzie del mestiere e condivise con lui operosi viaggi in Africa. A lui dedica una delle poesie più belle in cui alterna parti in italiano e parti in dialetto e in cui esprime un profondo ringraziamento nei suoi confronti». I versi di Carletto Bianchi, ricchi di passionalità e di musicalità, si caratterizzano per uno stile chiaro e contengono riflessioni profonde e originali sulla vita e sull’esistenza.
Federica Grisolia