L’opera è ambientata a Parigi, negli anni Cinquanta.
Don Pomponio Storione, ricco napoletano, volendo far sposare la figlia Lisetta con un nobile del luogo, pubblica sulla gazzetta locale un annuncio con cui spera di trovare il pretendente ad hoc.
Inutile dire: la notizia desta molta ilarità e confusione, anche se nessuno sa che Lisetta è già segretamente impegnata con Filippo che gestisce una locanda nel centro cittadino.
A complicare la faccenda è il conte Alberto: è in cerca di moglie e sulle prime chiede a Pomponio (attirato dalla dote cospicua della ragazza) di sposare sua figlia, come scritto sul giornale. Poi, però si innamora della giovane Doralice (che è stata promessa dal padre Anselmo a Monsieur Traversen).
La vicenda si complica ulteriormente quando -per evitare che la tresca tra Lisetta e Filippo si scopra- quest’ultimo dice in giro di essere sposato con Madama la Rose, senza aver avuto tempo di informare la fidanzata.
Lisetta è delusa ed esplode di gelosia, tanto che -quando si arriverà alla resa finale dei conti – rifiuterà il ragazzo che ama. Dopo rappacificazioni, duelli ed una caotica festa in maschera, la verità viene a galla: Anselmo e Pomponio si vedono costretti a mettersi da parte e ad acconsentire alle nozze dei quattro giovani.
Sto parlando de ‘La gazzetta’, opera buffa di Gioachino Rossini, che ha debuttato al Rossini Opera Festival il 10 agosto (repliche 13, 15 e 18 agosto) dopo il successo de ‘Le Comte Ory’.
Il poeta Giuseppe Palomba (molto conosciuto all’epoca anche se inferiore, per vena poetica, allo zio Antonio) ne ricavò il libretto da ‘Il matrimonio per concorso’ di Carlo Goldoni, principe indiscusso della commedia settecentesca, che scriveva storie esilaranti di amori contrastati, travestimenti ed equivoci senza indulgere troppo nell’approfondimento psicologico (che non lo interessava) ma trattando i personaggi come emblemi di uno stereotipo comportamentale.
‘Il matrimonio per concorso’ era un quadro di vita borghese, già perfetto per un’opera semi-seria ma, secondo Palomba, non sufficientemente idoneo a rappresentare l’opera nel Teatro dei Fiorentini della città partenopea: trasformò così il personaggio del padre (molto scialbo in Goldoni) nel cosiddetto ‘buffo napoletano’, dandogli il nome altisonante di Don Pomponio Storione, tanto più esilarante poiché l’azione si svolgeva nella Parigi elegante di inizio Ottocento.
Palomba sfruttò -come si faceva all’epoca- la precedente riduzione librettistica del veronese Gaetano Rossi per la musica di Giuseppe Mosca (‘Avviso al pubblico’, Teatro alla Scala, 1814) mentre, a sua volta, il suo libretto fu in seguito rivisto dal napoletanto Andrea Leone Tottola.
L’opera fu scritta dopo il debutto romano de ‘Il Barbiere di Siviglia’ (Teatro Argentina, 20 febbraio 1816) e tre mesi prima di ‘Otello’. Fu predisposta probabilmente per ‘fare cassa’, utilizzando più che mai autoimprestiti, provenienti da ‘Il Turco in Italia’, da ‘La Pietra del paragone’, da ‘L’Equivoco stravagante’ e da‘La Cambiale di matrimonio. A loro volta, alcuni brani della Gazzetta, tra cui la sinfonia, furono trapiantati ne ‘La Cenerentola’.
‘La Gazzetta’ fu rappresentata (come già detto) al Teatro dei Fiorentini (che, inaugurato nel 1618, era il più antico edificio per spettacoli in uso a Napoli) il 26 settembre 1816. Ebbe un buon successo ma venne ripresa poche volte e, prevalentemente nel Regno delle Due Sicilie: ebbe, quindi, una modesta eco in quella parte dell’Italia dove il giornalismo musicale era più importante e aveva più risonanza.
In epoca moderna, ‘La Gazzetta’ è stata messa in scena al ROF nel 2001 con la regia di Dario Fo che firmò uno spettacolo dai tratti onirici e surreali in una cornice Belle Epoque.
Nel 2011 fu ritrovata negli archivi della collezione del Conservatorio di Palermo la musica del quintetto dell’Atto Primo, considerata perduta. La prima rappresentazione critica dell’opera, a cura di Philip Gossett, ebbe luogo nel 2013 al New England Conservatory a cui seguirono le repliche del 2014 a Liegi ed il ritorno nel 2015 al ROF con la divertente regia di Marco Carniti attualmente riproposta.
‘Non è un nuovo allestimento ma, ovviamente, non si tratta della semplice fotocopia del vecchio spettacolo. Ho aggiunto 2-3 cose nuove, piccole ma importanti novità, qualche aggiornamento anche nelle luci compreso un omaggio ad Alberto Zedda che mi aveva voluto per questo spettacolo
Ho cercato di lavorare per sottrazione, per ricondurre tutto alla mia idea di teatro essenziale. Le grandi produzioni mi piacciono poco’- ha commentato alla stampa il regista supportato nel suo lavoro dalle scenografie semplici ed essenziali di Manuela Gasperoni, i costumi di Maria Filippi,
le luci di Fabio Rossi.
Tutto il cast è all’altezza della situazione anche se inevitabilmente, si impongono le voci di Carlo Lepore (nelle vesti del protagonista) e Giorgio Caoduro (in quelle di Filippo, il locandiere). Il primo è il tipico basso parlante napoletano (il primo interprete fu il famoso Carlo Casaccia, peraltro somigliantissimo al re Ferdinando I), a proprio agio nella madrelingua partenopea che esibisce con disinvoltura e senza ostentazione, senza mai cadere in eccessi e forzature.
Caoduro interpreta quello che un tempo era chiamato ‘buffo cantante’, nel linguaggio attuale un basso baritono brillante, dalle eccellenti qualità virtuosistiche (ha cantato in questa veste nei più prestigiosi teatri del mondo).
E’ un belcantista sopraffino ed impeccabile, capace di interpretare ogni
personaggio richiesto, facendo ‘intendere ogni parola anche nella rapidità e nella coloratura’.
Sul podio il M° Carlo Rizzi ha diretto con brio l’Orchestra Sinfonica Rossini ed Il coro del Teatro della Fortuna di Fano, preparato da Mirca Rosciani.
Un’opera divertente e ben curata, adatta a grandi e piccini!
Paola Cecchini