ROMA 30 APRILE 2022 - «Lo scorso 15 aprile, su un volo di linea diretto a Parigi, 4 nostri operatori sanitari, di cui tre infermieri del reparto cardiologia dell’Ospedale di Chioggia, hanno salvato la vita ad un passeggero 32enne in pieno arresto cardiaco.
Appena 24 ore fa, il 29 aprile, a bordo di un aereo che da Tirana portava a Bergamo, una coppia di nostri infermieri, anch’essi italiani, ha soccorso prontamente una donna vittima di un improvviso malore, evitandole un più che probabile evento infausto.
Siamo di fronte a due episodi che non possono passare inosservati agli occhi della collettività, sui quali vale la pena riflettere con estrema attenzione.
Prima di tutto, esordisce Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Sindacato Nursing Up, non possiamo che esprimere il nostro caloroso plauso al coraggio, all’abnegazione, alle indubbie capacità di chi, come avviene ogni giorno nelle corsie degli ospedali, non si risparmia un solo istante per combattere contro la morte.
Tra le nuvole, lontano chilometri e chilometri da un presidio di primo soccorso, solo il caso ha voluto che su quegli aerei fossero presenti dei nostri infermieri.
Quanto accaduto riapre la delicata questione che, in mancanza di professionisti specializzati a bordo di un aereo occorre, inevitabilmente, pensare all'opportunità di corroborare ulteriormente la formazione specifica degli assistenti di volo, in tema di pronto intervento, e quindi di renderli idonei a compiere le indispensabili manovre rianimatorie in emergenza. In questo caso diventa sicuramente una priorità quella di formare le uniche persone che, in qualità di equipaggio, hanno la responsabilità di intervenire in caso di emergenza ed in assenza di medici e/o infermieri, anche se non hanno nulla a che vedere con la nostra realtà sanitaria.
A differenza, invece, di quanto sta accadendo in alcune regioni italiane, dove i Governatori, come nel caso del Veneto, è il caso di dire “si ostinano” ad approvare, addirittura in via definitiva, normative che consentono oggi agli Operatori Socio Sanitari, di svolgere funzioni che nella prassi vengono garantite dagli infermieri, con la debole motivazione di non avere scelta, e che questo serve per sopperire alla cronica carenza di personale infermieristico.
Non possiamo essere d’accordo con tutto questo!
Non siamo disponibili, dice ancora De Palma, ad accogliere qualsiasi ipotesi che acconsenta di sostituire gli infermieri che mancano all’appello, con personale che non ha le nostre stesse caratteristiche professionali e qualità, anziché creare le condizioni idonee e le prerogative affinché, con un capillare e doveroso piano di valorizzazione della professione, e con le conseguenti assunzioni, siano gli infermieri stessi, le nostre eccellenze professionali, il perno della nostra sanità da cui ripartire, ad occupare le posizioni e le funzioni che gli competono.
Siamo ancora una volta di fronte alle classiche “soluzioni tampone”, adottate e fatte passare come scelte epocali, preferite nettamente al riconoscimento giuridico ed economico, quanto mai doveroso, del nostro ruolo e del nostro percorso di studi, quello con il quale veniamo formati per occuparci della salute dei cittadini con funzioni che altro personale non può permettersi di ricoprire.
Cosa succede? Ancora una volta si sceglie la “via traversa” per non valorizzare e pagare gli infermieri italiani?
Ci chiediamo perché si decide di creare qualifiche che dovrebbero svolgere funzioni di prassi esercitate dagli infermieri, quando si può, invece, costruire un piano sinergico e solido, affinché il nostro sistema sanitario, senza nulla togliere al ruolo degli oss, possa permettere ai cittadini di avere a disposizione il numero idoneo di infermieri, quello che corrisponde al reale fabbisogno della popolazione, dei soggetti più fragili, dei malati cronici, “mettendo in campo” le migliori figure professionali di cui il nostro Paese dispone.
Come si può pensare di dare impulso alla sanità italiana, sopperendo oggi ad una carenza strutturale così grave, una vera e propria voragine di 80mila infermieri, semplicemente integrando la formazione di personale con qualifiche di base profondamente differenti?
Come possiamo incentivare i giovani a scegliere la nostra nobile professione, ai fini di un indispensabile ricambio generazionale, se sotto i loro occhi accade che personale che non sceglie il nostro medesimo percorso di studi, e che certo non possiede analoghe conoscenze , competenze e responsabilità di un infermiere laureato, può essere chiamato a svolgere alcune nostre importanti funzioni nella complessa quotidianità degli ospedali italiani, sulla base di percorsi formativi lontani anni luce da quelli universitari?
No signori. Se questo è il modo per dare impulso e qualità alla sanità del futuro, noi non lo condividiamo di certo», chiosa De Palma.