La pandemia ha dato l’opportunità di imparare molti termini che nella normalità non si sarebbero facilmente memorizzati, il prossimo termine nella hit-parade sanitaria penso sia “sarcopenia”, ovvero la tendenza dei muscoli a ridurre la quantità e la qualità della massa, determinando l’abbassamento del livello di performance fisica; è una malattia che non affligge solo la terza età ma anche i pazienti positivi al Covid-19.
Da due anni siamo stati travolti dalla pandemia trascurando tutte le consapevolezze di una sana prevenzione, ma ora è arrivato il momento di fare i conti. La salute delle ossa è stata fortemente trascurata. I periodi di quarantena e le restrizioni hanno ridotto i nostri movimenti e le ore che eravamo soliti trascorrere all’aperto. Tutto ciò è stato deleterio per la salute di molti organi ma soprattutto per la nostra struttura muscolo scheletrica. Molti hanno rimandato esami di consuetudine e preventivi. Alcuni hanno addirittura sospeso le terapie per l’osteoporosi, sia per paura di rapportarsi con le strutture sanitare per la diagnostica o per impossibilità di accesso a causa della sospensione dei servizi ambulatoriali. Ritengo che nei prossimi anni il rischio di fratture vertebrali e di femore sarà una grossa piaga che non potremo affrontare. Se la pandemia ha attivato supporti economici e sociali importanti, purtroppo non vi sarà una svolta in campo ortopedico e farmacologico per l’osteoporosi e la protesica.
La situazione rischia di degenerare e occorre al più presto porre rimedio per evitare conseguenze gravi a breve e lungo termine per una grossa fascia di cittadini.
Anche l’International Osteoporosis Foundation ha lanciato l’allarme nel suo Rapporto della situazione dell’Osteoporosi in Europa. Dai dati raccolti dai clinici si evidenzia l’incremento di tutti gli indicatori della patologia e delle fratture da fragilità ad essa collegate.
In Italia nel 2019 le fratture da fragilità ammontavano già a 568.000 nuovi casi, 4.400.000 persone (80% donne e 20% uomini) sono in osteoporosi (principale causa delle fratture da fragilità). Molte di queste fratture possono essere prevenute. Oggi i clinici hanno, infatti, a disposizione trattamenti farmacologici efficaci, ma questo aspetto è stato a lungo trascurato, nonostante l’ingente onere economico per l’assistenza sanitaria legata all’osteoporosi. Parliamo, infatti, di 9,5 miliardi di euro spesi in Italia nel 2019, di cui 5,44 miliardi per i costi diretti delle fratture da fragilità, 3,75 miliardi per quelli della disabilità a lungo termine e 259 milioni per gli interventi farmacologici.
Questi, sono alcuni dati riportati nella seconda edizione di SCOPE ’21, uno studio epidemiologico, pubblicato di recente, realizzato da IOF – International Osteoporosis Foundation, che espone una panoramica della situazione dell’osteoporosi in Europa con un’analisi dettagliata del nostro Paese.
In Italia almeno 2 milioni di donne dovrebbero essere sottoposte a un trattamento per l’osteoporosi, ma il 71% di esse non riceve alcun trattamento farmacologico. La situazione in Europa è veramente preoccupante. In Italia si stima un aumento delle fratture del 23,4% entro il 2034, adesso è urgente prendere dei provvedimenti per tempo, prima che la situazione sia gravissima. È altrettanto grave per i soggetti in osteoporosi che hanno già subito una frattura che di subirne una seconda, tale rischio infatti è 5 volte più elevato. Ritengo che la prevenzione e i controlli periodici potrebbero ridurre tali rischi al disopra del 50%.
Va sottolineato la gravità di una frattura da fragilità in un soggetto ultra ottantenne, nella maggior parte dei casi non è operabile, se inoltre il paziente è affetto da altre patologie come diabete o cardiopatie, questi si complicano con broncopneumopatia, l’ictus ischemico.
Le fratture osteoporotiche sono associate a una mortalità prematura. Il 30% circa dei decessi avvenuti dopo una frattura dell’anca o della colonna vertebrale può essere attribuito agli esiti dell’evento stesso. Nel 2019 sono stati stimati circa 250.000 decessi a seguito di fratture da fragilità in Europa.
Dai dati ministeriali, come noto nelle linee guida, il 5% delle persone con una frattura dell’anca muore entro 1 mese e il 25% entro 12 mesi; la chirurgia precoce (entro le 48 ore) è in grado di ridurre statisticamente e clinicamente la mortalità a 1 anno. A questi dati si aggiunge un’aggravante, circa 28.0000 casi si infettano e diventano osteomielitici, ( 5% delle 568.000 delle fratture da fragilità), con un aggravio altissimo sia per il paziente che per la famiglia oltre che per la spesa sanitaria. Le infezioni ortopediche erano una piaga per il nostro sistema, ma oggi quello che prevediamo è un dato spaventoso ed ingestibile.
La prevenzione offre l’opportunità di ridurre questi numeri da capogiro in maniera incredibile. Anche se da vent’anni parliamo di infezioni ossee, o meglio definita osteomielite, ancora oggi in ortopedia e infettivologia il concetto non riesce ad essere metabolizzato. L’ortopedico in genere sottovaluta le complicanze post operatorie, l’infettivologo non è spalleggiato da una multidisciplinarietà necessaria per cercare di arginare la sepsi, quando viene diagnosticata precocemente, il paziente viene lasciato allo sbando o posticipato di mese in mese fino al decesso o all’inizio di viaggi della speranza e alla ricerca di un’alta consulenza per un inquadramento clinico e chirurgico. La prevenzione ha un ruolo fondamentale se non decisivo; un corretto inquadramento del paziente permette di porte far eseguire tutti i controlli e prevedere l’intervento di protesi invece di dover affrontare in urgenza la riduzione di una frattura, saltando le necessarie profilassi che eviterebbero per una buona parte la conseguente infezione.
A giorni le potenze di fuoco economiche e di coordinamento sanitario che abbiamo visto per la pandemia finiranno e la fisiologica curva in caduta ci darà una consapevolezza grave che non potremo gestire.
Altresì visto che i concetti strategici di prevenzione sono stati una evidenza dimostrata dall’istituzione politica e sanitaria, questa esperienza ci potrebbe essere utile per ottimizzare i processi di prevenzione sull’intero territorio nazionale facilitando l’accesso alle cure anche nella prescrizione dei piani terapeutici e l’ampliamento della categoria di specialisti preposti alla prescrizione dei farmaci per l’osteoporosi al fine di ridurre rischi e patologie di cui le proiezioni ci danno già sin d’ora un dato allarmante.
Fonte notizia
www.anio.it