20 settembre 2021 - Due milioni di pazienti, di cui il 70% pediatrici, sono curati per malattie rare in Italia. Da parte delle imprese c’è un’attenzione particolare per i cosiddetti “farmaci orfani”, attraverso progetti che aiutano la presa in carico di questi pazienti.
Le malattie rare costituiscono uno straordinario banco di prova di efficacia e di efficienza per il Sistema sanitario nazionale. Al tema si è posto l’accento sulla responsabilità sociale dell’impresa farmaceutica e sullo sviluppo importante di ricerche su tecnologie innovative ma che vanno a scontrarsi con reali limiti. L’occasione è stata la SUMMER SCHOOL 2021diMotore Sanità.
In base ai dati coordinati dal Registro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti, con un’incidenza di circa 19.000 nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie che li seguono. Il 20% delle patologie riguarda i bambini, tra cui le malformazioni congenite, che rappresentano il 45%, e le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e disturbi immunitari, il 20%. Per i pazienti in età adulta, invece, le più frequenti sono le malattie del sistema nervoso e degli organi di senso (29%) e quelle del sangue e degli organi ematopietici (18%).
Lo scorso 26 maggio, alla Camera dei deputati, è stato approvato il Testo Unico Malattie Rare e Farmaci Orfani. Tutte le misure inserite contribuiscono a migliorare non solo gli aspetti sanitari della presa in carico dei pazienti rari, ma anche la qualità della loro vita sociale e lavorativa. Infatti, questa è una legge quadro che ha come obiettivo quello di rendere uniforme il trattamento delle malattie rare su tutto il territorio nazionale, attraverso il piano diagnostico terapeutico personalizzato che consente di accedere a tutti i servizi sanitari, compresi i trattamenti riabilitativi, ai servizi socio sanitari e consente anche di ottenere dispositivi medici personalizzati; di consolidare le buone pratiche sviluppate in questi anni; di favorire l’inserimento scolastico e lavorativo dei malati rari e di dare un forte impulso alla ricerca. Ora però la legge deve essere approvata anche dal Senato per poter diventare effettiva.
A parlare di collaborazione delle aziende farmaceutiche nella ricerca, è stata l’Onorevole Fabiola Bologna, Segretario XII Commissione Affari Sociali e Sanità della Camera dei Deputati.
“Crediamo molto nella importanza della collaborazione delle aziende farmaceutiche nella ricerca e nella loro responsabilità sociale che in questi ultimi anni è diventata sempre più evidente all’interno del mondo sanitario. Per questo, nel Testo Unico sulle Malattie rare, abbiamo dedicato un intero articolo per facilitare le aziende che si impegnano in progetti di ricerca sulle malattie rare o sui farmaci orfani, tramite contributi in forma di credito d’imposta, che permettono di sviluppare nuove terapie e percorsi innovativi per la gestione dei pazienti con malattie rare facilitando la vita di queste persone e delle loro famiglie”.
Lo sviluppo di ricerche su tecnologie innovative che utilizzino terapie geniche cellulari o tessutali è da sempre considerato un compito sociale ed etico a cui rispondono le ditte farmaceutiche.
“Questa ricerca ha finora prodotto un gran numero di studi sperimentali e ricerche di nuovi farmaci, ma ha immesso nel mercato un numero tutt’ora molto contenuto di prodotti che interessano teoricamente il 2% dei malati rari, in realtà meno dell'1%- ha spiegato Paola Facchin, Responsabile Coordinamento Malattie Rare Regione del Veneto -. La maggior parte dei malati rari (oltre il 70%) utilizza comunque farmaci aspecifici da cui dipende la durata e la qualità della loro sopravvivenza e verso i quali si concentrano poche o pochissime ricerche di nuove soluzioni”.
Le terapie avanzate, il loro sviluppo e la loro reale disponibilità per i pazienti è gravata da molte e complesse criticità e limitazioni, che ha spiegato sempre Paola Facchin.
“Ad esempio, i criteri di arruolamento dei pazienti non considerano frequentemente l'ampia variabilità di condizioni che si ritrovano nel mondo reale, per cui si assiste ad un paradosso di disponibilità di farmaci per molti meno pazienti che attendono una risposta dalla nuova immissione del farmaco. Analogamente, gli endpoint che vengono misurati spesso sono lontani da risultati che abbiano una reale rilevanza clinica, specie a medio e lungo termine. Inoltre, gli strumenti utilizzati per raccogliere i dati di efficacia e sicurezza, per esempio i registri per patologia e per farmaci, di per sé danno origine ad una rappresentazione distorta dell'impatto del farmaco rispetto a quella che si ottiene da monitoraggi multi-fonte basati su studi di popolazione che riferiscono i risultati del farmaco nel mondo reale”.
Un altro aspetto che interessa l'immissione in commercio è dato dai fenomeni del replacement, cioè dall'estensione ad altri gruppi di pazienti e ad altre indicazioni di un farmaco immesso in commercio per un sottogruppo più limitato e specifico di pazienti malati.
“Questo fenomeno, di per sé positivo perché aumenta le opzioni terapeutiche disponibili, può avere un impatto estremamente negativo rispetto alla sostenibilità economica dei trattamenti poiché aumenta l'impatto economico che essi hanno, rimanendo pressoché stabile il costo unitario o poco contratto e aumentando di molto il moltiplicatore dei pazienti trattati” ha proseguito Paola Facchin -. L’aspetto della sostenibilità economica coinvolge dimensioni che riguardano anche la sostenibilità sociale ed etica di come e per chi si concentrano i benefici e come e da chi vengono sostenuti gli oneri. Si assiste cioè a quello che può sembrare un paradosso: lo stesso sistema pubblico garantisce trattamenti il cui costo unitario supera il milione di euro e, contemporaneamente, nega trattamenti certamente utili, riabilitativi, protesi, ausili, dietetici, etc. dal costo molto più contenuto ma interessanti una platea ampia di persone”.
Simone Baldovino, Referente Regione Piemonte presso il Tavolo Interregionale Malattie Rare – Centro di Coordinamento della Rete Interregionale per le Malattie Rare del Piemonte e della Valle D’Aosta e Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino, ha dichiarato “Purtroppo la domiciliarizzazione è spinta da molte case farmaceutiche, cerchiamo però di vedere quali sono le reali esigenze dei pazienti. Nel Piano Nazionale Cronicità sono state messe molte malattie croniche, ci si è però dimenticati delle malattie rare”.
Ha posto l’attenzione sulle Reti europee, considerate strategiche per la condivisione dei dati tra i clinici, Domenica Taruscio, Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità.
“Le malattie rare rappresentano la complessità per eccellenza anche dal punto di vista organizzativo, però sono possibili strade di uscita. L’importanza delle reti europee, per esempio, è che in pochi anni hanno dimostrato che fare sinergia di dati, fare trial clinici più potenti, fare sinergia insieme, hanno una capacità enorme di sviluppo. Tutto ciò porterà a vedere questo settore delle malattie rare, che attualmente dà più problemi che soluzioni, in positiva evoluzione per affrontare le criticità che ora ci sono. Personalmente vedo un futuro più roseo”.
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