Mentre si consumano gli ultimi atti della partita sulle concessioni autostradali della famiglia Benetton, neanche troppo sottotraccia si sta posizionando una schiera di interessati alla spartizione della torta dei pedaggi. Sempre che vada in porto la proposta del passo indietro di Ponzano Veneto, con una riduzione del peso della famiglia nel controllo di Autostrade per l’Italia a favore appunto di nuovi soci, per far uscire dallo stallo la trattativa con Roma evitando revoca delle concessioni con relativamente poco disonore.
E così nelle ultime settimane sulla scena è comparso anche il fondo australiano Macquarie Infrastructure and Real Assets, che dal 2016 ad oggi ha raccolto 1,5 miliardi di euro da parte di 21 investitori istituzionali italiani e che ben volentieri scenderebbe in campo accanto a Cassa Depositi e prestiti e al fondo F2i. In corsa, ma più defilata, ci sarebbe poi anche la francese Vinci, che però politicamente non convince perché potrebbe far concorrenza a gruppi italiani delle costruzioni come Webuild, l’ex Salini-Impregilo in cui ha investito anche Cdp per la creazione dell’agognato campione nazionale delle costruzioni. Nelle ultime ore è arrivato perfino l’interesse di Poste Italiane, che – secondo indiscrezioni di stampa – sarebbe già in trattative avanzate con il fondo F2i di emanazione parapubblica imparentato con la Cassa Depositi e Prestiti.
A differenza degli altri pretendenti, però, il fondo di Sydney non è nuovo ai grandi investimenti in infrastrutture italiane. Ed è anche una vecchia conoscenza dei Benetton con cui si è scambiato il testimone in occasione del passaggio di mano del 45% di Aeroporti di Roma nel 2007. All’epoca i fratelli di Ponzano Veneto facevano capolino via Gemina nel capitale dello scalo romano, mentre Macquarie usciva di scena con un guadagno monstre di 750 milioni pagato dai soci italiani (Gemina, Finstahl, Falck, Italpetroli, Sensi, Impregilo). Non senza qualche strascico nel rapporto con il fisco italiano che ha contestato con successo la tassazione ridotta (il 15% contro il 27%) applicata dalla Macquarie Aeroport Luxembourg, poi uscita dal fondo australiano, su 14 milioni di dividendi staccati da Adr.
Da allora per i Benetton, sempre più concentrati sulle infrastrutture e sempre meno sul business dell’abbigliamento, le cose sono andate di bene in meglio. Fino alla strage del ponte Morandi che ha portato su Atlantia la spada di Damocle della revoca delle concessioni. Una partita complessa e delicata nella quale Macquarie punta ad avere un ruolo strategico. Motivo per cui si è affidata a consulenti di lungo corso come l’ex presidente di Telecom Italia e storica guida di Enel, Fulvio Conti, e l’ex presidente di Cassa Depositi e Prestiti, Claudio Costamagna, molto apprezzato da Matteo Renzi. Lo stesso che si è fermamente opposto alla revoca della concessione autostradale ai Benetton.
Ma, se la vicenda è così politicamente spinosa, come mai Macquarie ha deciso di scendere in campo? Evidentemente il fondo australiano, che ha realizzato 125 miliardi di investimenti in infrastrutture di cui 57 solo in Europa, ha fiutato l’affare. Per giunta in un Paese in cui ha già scommesso su due aziende strategiche: il gruppo idroelettrico Hydro Dolomiti energia e la Società gasdotti italiani, presieduta dallo stesso Conti. E dove, in tempi recenti, ha anche realizzato una plusvalenza stimata da Reuters in 400 milioni vendendo l’ex Sorgenia Green, poi ribattezzato Renvico, alla francese Engie. Chapeau, come direbbero a Parigi.
Ma non tutti gli affari vanno a gonfie vele. Anzi. In Spagna Macquarie, insieme ai fondi Cvc e Omers, è nel mirino della Consob locale (Cnmv) che ha presentato un esposto al governo sull’eccessivo indebitamento che i fondi Macquire e Cvc avrebbero “scaricato” sulla CLH, la società di gestione dei maggiori oleodotti spagnoli. Con l’accusa di “pratiche finanziarie non raccomandabili”, come l’alta distribuzione di dividendi. Anche a danno del patrimonio aziendale. “Nel 2013 e nel 2014, CLH ha distribuito come dividendi più del 100% del risultato netto, intaccando anche le riserve”, ha scritto il giornale spagnolo Expansión il 16 maggio 2020.
In Gran Bretagna poi, il fondo è stato ribattezzato con il nomignolo di “canguro vampiro” per l’operazione realizzata sulla società di gestione delle acque privatizzata Thames Water. Secondo un’inchiesta della BBC, Macquarie è riuscita ad ottenere un rendimento doppio rispetto a quello del settore. In che modo? Aumentando i debiti e riducendo gli investimenti. Inoltre, per la BBC, oltre al danno, ci sarebbe stata per i sudditi britannici anche la beffa: secondo l’inchiesta, ci sarebbe infatti una relazione fra forte aumento dell’inquinamento del Tamigi e l’assenza degli investimenti di Thames Water sino a quando è stato azionista Macquarie.
Non è andata meglio sul tema autostrade. Negli Stati Uniti ha fatto scalpore il fallimento nel 2014 della Indiana Toll Road, comprata da Macquarie dallo Stato dell’Indiana nel 2006 per 3,8 miliardi di dollari. Praticamente in buona parte sfruttando la leva finanziaria: Macquarie in realtà tirò fuori dalle sue tasche solo un decimo della cifra, il resto fu finanziato da banche. Ma dopo 8 anni, la Indiana Toll Road aveva accumulato 5,8 miliardi di debito e fu lasciata fallire. Sorte analoga è toccata alla South Bay Express che fallì nel 2010, mentre ha brillato la francese APRR che produce molta cassa, in buona parte distribuita agli investitori fra cui Macquarie. Resta da capire quale sia la linea desiderata con Autostrade per l’Italia, accanto ai Benetton. Anche perchè il governo punta ad ottenere cospicui investimenti che inevitabilmente assottigliano i ritorni degli investitori.