Argia Di Donato: "La contribuzione previdenziale slegata dal reddito è illegittima."
Continua la battaglia nelle aule di Tribunale
28 marzo 2018 udienza di discussione della causa tra l’avv. Di Donato e Cassa Forense
L'obbligo della contribuzione previdenziale va necessariamente collegato al reddito, viceversa si crea una nuova sacca di povertà nella professione forense: questo, il leitmotiv della battaglia che sta sostenendo Argia Di Donato, giovane avvocato del Foro di Napoli e Presidente dell'Associazione Nomos Movimento Forense, che ha impugnato innanzi al Giudice del Lavoro la cartella di pagamento emessa da Equitalia Sud S.p.a. per conto di Cassa Forense. Il giudizio instaurato nel 2017, vedrà il pronunciamento del Giudice del Lavoro del Tribunale di Napoli il prossimo mercoledì 28 marzo, circa l’accoglimento o il rigetto delle ragioni dell’avv. Di Donato e circa la questione di illegittimità costituzionale e di violazione del T.F.U.E. nonché della Carta dei Diritti Fondamentali U.E, sollevate dalla Di Donato a mezzo del proprio legale di fiducia, avv. Alfonso Emiliano Buonaiuto.
“Quello di Cassa Forense è un problema di non poco conto. - sostiene la Di Donato – Al di là delle specifiche censure tecniche sollevate in sede di ricorso, occorre evidenziare due aspetti: da un lato, si mina l’esercizio libero della professione, dato che avvocati che hanno uno scarsissimo volume di lavoro, non sono in condizione reale di pagare i contributi dovuti. E se non versano quanto dovuto a Cassa, non sono più nelle condizioni di esercitare la professione; dall’altro - cosa ben più grave – avvincere a parametri reddituali la permanenza del professionista nell’Albo Professionale, limita, di fatto, il cittadino nello scegliere liberamente il proprio legale. Il tutto determina una condizione abnorme e inaccettabile sul piano professionale e lesiva del diritto alla difesa garantito dalla Costituzione.”
“È una battaglia giusta e doverosa, – prosegue la giovane professionista – il principio dell’imposizione previdenziale slegata dal reddito effettivamente prodotto, è in palese violazione dei principi costituzionalmente garantiti e mina l’effettiva libertà nell’esercizio della professione forense. Proprio perché siamo avvocati, sulla questione non possiamo tacere.”
“I denunciati profili di illegittimità costituzionale dell’art. 21, commi 8 e 9, L. n. 247/2012 e del Regolamento di Attuazione - aggiunge l'avvocato Alfonso Emiliano Buoniuto, procuratore della Di Donato – sono talmente evidenti che la stessa Cassa Forense è stata costretta obtorto collo a reintrodurre, se pur solo per un periodo di tempo limitato (il Comitato dei Delegati di Cassa Forense, nella seduta del 29 settembre 2017, ha deliberato a larga maggioranza che il contributo minimo integrativo non sarà dovuto per gli anni dal 2018 al 2022, agevolando gli avvocati più deboli e disagiati, ossia coloro che produrranno volumi d’affari inferiori ad euro 17.700 circa), il principio della proporzionalità tra contributi e volume di affari dichiarato, riconoscendo implicitamente l’irragionevolezza della normativa che impone il pagamento di un contributo minimo in maniera indiscriminata a tutti gli iscritti indipendentemente dal loro reddito. Basti pensare, poi, che a distanza di un anno dall’entrata in vigore della Legge Professionale, alla Camera dei Deputati è stata presentata una proposta di legge per modificare la normativa in vigore considerati i tanti profili di censurabilità, anche di rango costituzionale, contenuti nella Legge Professionale.
L’approfondimento
La questione politica. La questione sollevata dall’avv. Di Donato, sorvolando sulle questioni di merito processuali e sui profili sostanziali di diritto, è di natura essenzialmente politica: si richiede che il Giudice, sospendendo il giudizio in corso (dato che lo stesso non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale e che queste ultime non sono manifestamente infondate), emetta ordinanza con la quale disponga l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. La norma contenuta nei commi 8 e 9 dell’articolo 21 della Legge Professionale (L. n. 247/2012) è in palese violazione dei principi garantiti nella nostra Costituzione, in quanto impone - per la prima volta in Europa - «condizionamenti» e criteri sul modo di esercitare la professione forense, in assenza dei quali il professionista potrà essere cancellato dall’albo, con conseguente divieto di uso del titolo di avvocato e con inevitabili conseguenze anche sugli interessi dei suoi assistiti. Se a tali rilievi si aggiunge che la permanenza nell’albo è strettamente legata all’obbligatoria iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (comma 8 dell’articolo 21) e all’ulteriore principio di continuità determinato dallo stesso ente, il rischio di vedere - in un arco temporale assai breve - cancellazioni di massa dall’albo e la perdita di lavoro di migliaia di professionisti, stimati in 60.000 circa, si profila oltremodo realistico. Nello specifico, l’avv. di Donato ha eccepito la violazione di legge e l'illegittimità costituzionale dell’articolo 21, commi 8 e 9, della Legge n. 247 del 2012 per violazione del principio di legalità di cui agli artt. 23, 97, 113 della Costituzione nonché del canone di ragionevolezza della legge di cui all’articolo 3 della Costituzione; la violazione di legge e l'illegittimità dell’articolo 21, commi 8 e 9, della legge n. 247 del 2012 in relazione ai principi comunitari sulla concorrenza di cui all’articolo 117 della Costituzione e 106 T.F.U.E. e di cui agli artt. 15, paragrafo 1, 16 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nonché illegittimità costituzionale dell’articolo 21, commi 8 e 9, della legge n. 247 del 2012 per violazione dell’articolo 41 della Costituzione nonché degli artt. 2, 3, 4 e 33, comma 5, 41 e 53 della Costituzione; la violazione dell’art. 21 della legge n. 247/2012 da parte del Regolamento di attuazione; la violazione di legge ed il conflitto del Regolamento di attuazione dell’art. 21, comma 8 e 9, L n. 247/2012 con il principio comunitario sulla libera concorrenza di cui agli artt. 101 e 102 T.F.U.E.; la violazione di legge e violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione e violazione dei Trattati U.E. e C.E.D.U..
Le argomentazioni sostenute da Cassa Forense
L’Ente previdenziale ha omesso di contestare nello specifico le censure sollevate in sede di ricorso, limitandosi ad affermare la legittimità di scelte politiche funzionali a garantire l’equilibrio dell’Ente e la regolare erogazione delle prestazioni agli iscritti. Tuttavia le discutibili “scelte politiche” di Cassa, lungi dall’essere legate a dati fattuali di natura macroeconomica, sono al contrario frutto di arbitrio, atteso che la discrezionalità della Cassa in materia è eminentemente tecnica e non assoluta. Ed invero, se la stabilità della gestione della Cassa imponeva di introdurre norme draconiane quali l’art. 21, commi 8 e 9 della L. n. 247/2012 ed il Regolamento di Attuazione, non si comprende come l’Ente possa aver deciso, in assenza di mutamenti economici di rilievo, l’abolizione del contributo integrativo minimo dal 2018 al 2022. Ma c’è di più. Se la situazione dei conti di Cassa Forense era tale da imporre per legge la cancellazione dall’Albo degli Avvocati non in grado di pagare i contributi, è legittimo chiedersi come Cassa Forense giustifica la spesa di quasi tre milioni di Euro per i propri organi di amministrazione e controllo oppure la distrazione del denaro versato a fini previdenziali dagli iscritti, per effettuare al contrario discutibili investimenti con perdite per centinaia di milioni di euro (cfr., “Il Sole 24 ore” dell’11/11/2008). Per tacere di pubblicazioni quali “La previdenza forense” la cui utilità - ed i cui costi - sono conosciuti esclusivamente dai dirigenti, dagli impiegati e dai consiglieri di Cassa Forense i quali, per inciso, sono i soli chiamati a pubblicarvi articoli o recensioni. Pare opportuno rilevare che il T.A.R. Lazio nella sentenza n. 7353/2016, pur rimettendo al Giudice del Lavoro la questione di merito, ha accolto un'interpretazione dell’art. 21, comma 9, L. n. 247/2012 “costituzionalmente orientata” per la quale tutti gli avvocati, compresi quelli che non rientrano nei parametri economici stabiliti, “hanno il diritto di permanere nell’unico sistema previdenziale” e avere “pari dignità professionale e pari diritto a restare nel mercato”.