In un panorama musicale italiano spesso dominato da figure televisive di dubbia qualità e da una produzione musicale che tende verso il degrado culturale, sfuggono artisti come Paul Pedana, il cui nome riecheggia sempre di più nei circuiti internazionali più raffinati. Un artista poliedrico, dai concerti rock a Sinatra, dalla recitazione agli assoli di batteria, dai riconoscimenti internazionali negli Stati Uniti al libro con citazioni e poesie. Amicizie con giganti del cinema come Terry Gilliam e collaborazioni con attori del calibro di Ken Stott. Una vita mondana fatta spesso di eccessi, dall’America ai paesi dell’ex unione sovietica, dall’incidente quasi mortale al periodo vissuto con i nativi americani Lakota. Fanatico del vino, del cibo e delle trattorie italiane. Ha persino un diploma AIS come sommelier. Un camaleonte dell’arte dalle mille personalità che sfida ogni limite e non ha paura di dire quello che pensa.
Forse un personaggio scomodo per le televisioni e per le trasmissioni di “musica da distributore automatico di periferia” (come cita lui stesso), Paul Pedana si muove nel mondo artistico come un lupo solitario, allergico alle luci al neon dei talk show e ai sorrisi plastificati degli ospiti accomodanti. Non si presta a quella giostra ipocrita che trasforma l’arte in un prodotto preconfezionato, pronto per essere consumato e dimenticato. La sua figura, sfuggente e quasi misteriosa, è quella di un cantastorie del margine, un outsider che sceglie di suonare dove l’eco delle sue note possa rimbalzare contro pareti di anima, non di calcestruzzo televisivo.
In un’epoca in cui la maggior parte degli artisti sembra aggrapparsi disperatamente ai numeri di streaming e ai trending topic, Pedana si fa eco di un’altra era: un tempo in cui la musica era sudore, verità e dolore. Non cerca il successo facile né la fama. Non è mai stato il tipo da vendersi in cambio di un posto in classifica o un applauso registrato. Ogni sua nota, ogni parola dei suoi testi, è una protesta silenziosa contro la mercificazione dell’anima, una ribellione che si consuma nella sincerità delle sue creazioni.
E forse è proprio questa sua schiettezza a renderlo un personaggio scomodo. Non offre compromessi. Non si piega. Non indossa maschere. In un mondo che vive di like e condivisioni, Pedana rimane un artista irriducibilmente umano, profondamente ancorato a quel senso di autenticità che molti hanno ormai sacrificato sull’altare del marketing.
Ma questa scomodità non è mai sterile o fine a sé stessa. È uno strumento, un mezzo per squarciare il velo delle convenzioni e portare alla luce ciò che si nasconde sotto la superficie lucida e patinata della modernità. Nei suoi testi c’è un’ironia tagliente, una critica sociale che non lascia scampo, ma che non manca mai di una certa dolcezza, una compassione per la fragilità umana. La sua voce, ruvida e carica di emozione, è come un bisturi che affonda nelle piaghe di un’epoca malata, ma lo fa con la delicatezza di chi conosce il dolore e lo rispetta.
Paul Pedana non è solo un artista: è un araldo di quella parte di noi che spesso cerchiamo di ignorare. Non ci racconta favole né cerca di edulcorare la realtà. Ci mette di fronte a uno specchio, ci costringe a guardare, a sentire, a vivere. E in questo specchio, fatto di suoni e parole, vediamo riflessa non solo la sua anima, ma anche la nostra. Un’anima che, come la sua musica, è sporca di sangue e di fango, ma per questo ancora più preziosa.
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Ma tornando alla sua musica, a settembre del 2024, Paul Pedana consegna al mondo un album che non è solo un disco, ma un pugno dritto allo stomaco dell’indifferenza musicale: Moosehorn Algoreaper. Come un tornado implacabile, questo album trasporta l’ascoltatore in un universo sonoro crudo, poetico, feroce e viscerale, un viaggio che attraversa paludi di emozioni, caverne di suoni inaspettati e distese di una bellezza tanto primitiva quanto disarmante. Pedana, con la precisione chirurgica di un alchimista della musica, distilla ogni traccia con una sensibilità camaleontica, alternando momenti di rabbia primordiale a sospiri di dolce malinconia. Non c’è spazio per la superficialità in Moosehorn Algoreaper. Fin dall’apertura con "One Note One Word", il disco prende il controllo dei sensi. È un’introduzione che sa di rito d’iniziazione.
Ogni traccia racconta una storia, ma nessuna di queste storie è limpida o lineare. In "Champagne", un blues rock tagliente che vede la partecipazione straordinaria del chitarrista Dan Patlansky, il riff si srotola come un serpente velenoso, mentre Pedana ci conduce in una danza irriverente e pericolosa tra il sacro e il profano. Poi arriva "Bark to the Beavers", un bluesaccio fangoso con una grancassa cavernosa che pare suonato in una grotta con strumenti costruiti con pezzi arrugginiti di una vecchia nave, tanto è il peso della ruggine sonora che avvolge ogni nota.
Ma è con "The Ghost in the Mist" che Pedana dimostra la sua capacità di creare paesaggi sonori cinematografici: è come se ci trovassimo in una grigia periferia sovietica, nebbiosa. Il suono dei passi di un uomo invisibile, un alcolista dimenticato, mentre la voce narrante ci avvolge con un senso di ineluttabile tragedia.
L’album è un mosaico di generi e ispirazioni, ma la colla che tiene insieme tutto è la straordinaria sensibilità di Pedana nel raccontare l’anima umana degli ultimi. "Miss Golden Lancehead", ad esempio, è un inno oscuro e grottesco, una vera storia di investigazione noir che sembra emergere da un vecchio bar di New Orleans, mentre "Stone by Stone" abbraccia il minimalismo con una delicatezza che spezza il cuore. La traccia narra le fatiche di Vaclovas Intas, un medico lituano leggendario per la sua passione per le pietre e per aver plasmato la sua cittadina con opere straordinarie.
La traccia più terrificante, e forse la più geniale, è "Dactylogram on Canalasso (Biasio's Feast)", un esperimento sonoro che unisce la brutalità della storia del macellaio di Venezia, Biasio, in un simbolismo di orrore raccontato con suoni.
Eppure, non tutto è oscuro in Moosehorn Algoreaper. Ci sono momenti di respiro, di calore, come in "You Me and the Wine", una ballata intima scritta per la sua compagna Virga Siksniute, co-produttrice dell’album. La canzone sembra concepita per essere suonata attorno a un fuoco, con il crepitio delle fiamme che si mescola dolcemente alle corde pizzicate.
Moosehorn Algoreaper non è solo un album: è una dichiarazione di intenti, un grido che sfida i compromessi e trova la sua forza proprio nell’essere fuori dal coro. Pedana si pone come un outsider non solo del panorama musicale italiano, ma anche di quello internazionale, scegliendo di restare fedele a una visione che abbraccia l’arte nella sua forma più pura, grezza, viscerale e senza concessioni al mercato o alle mode.
Con questo album, Pedana non lascia solo un’impronta: lascia un solco. È un baluardo di difesa contro la noiosa musica contemporanea. È un disco che non smetterà mai di parlare a chi saprà ascoltarlo, un capolavoro che non cerca l’approvazione ma sfida, interroga e, soprattutto, vive. Perché la musica di Pedana, proprio come la sua anima, non è mai statica: è sangue, è fango, è vita.
Questo è il link per acquistare il suo nuovo album: https://paulpedana.bandcamp.com/album/moosehorn-algoreaper