«Per il mio nuovo lavoro, ho utilizzato un linguaggio musicale di fine anni Ottanta-inizi Novanta - precisa Felice Romano - molto particolare. L’idea di partenza è stata creare un “alter ego” a Felice Romano, che si chiama appunto Gennaro Esposito, di professione netturbino. È differente dagli altri netturbini perché non spazza la sporcizia dalle strade della città e del mondo, ma quelle che ognuno di noi ha nell’animo, nel cuore. Con il suo strumento, la musica, con la quale cerca di fare riflettere e fare uscire fuori tutte le cose brutte che sono nell’animo di una persona».
Quanti brani compongono l’album?
«Sono dieci canzoni che affrontano cose brutte che sembrano piccole, ma che messe insieme fanno capire come il mondo potrebbe essere migliore se ognuno si pulisse l’anima dalle cattiverie. Ci sono anche canzoni d’amore come “Allora vasame” con un quartetto contrabbasso, piano, violoncello e fisarmonica».
Quali sono i musicisti che ti hanno affiancato nella realizzazione dell’album?
«Sono grandi artisti, Ivano Petti e Davide Frezza alla batteria, Catello Tucci al violoncello, Franco Ponzo alle chitarre, Giacomo Buffa al contrabbasso e al basso. Alle tastiere e al piano Saverio Carpine che ha curato anche gli arrangiamenti. Il missaggio e mastering è stato curato da Francesco Di Tullio, gli arrangiamenti piano e fisarmonica da Antonio Ottaviano. Il video editor è Alessandro Freschi».
Possiamo definire quindi il disco il racconto del tuo modo di vedere la vita?
«Sì, è proprio questo. In particolare il senso del lavoro si trova nel brano che chiude l’album che è appunto “Gennaro Esposito nato netturbino”, una sorta di livella rivista. In esso ci sono lo spazzino che per tanti anni ha spazzato i sentimenti dei napoletani e il nobile che si pente per i tanti anni che non gli ha rivolto la parola e lo ha visto spazzare per anni guardandolo come se fosse l’ultima delle persone e invece qui viene rivalutato. Questo è il mio messaggio: se ognuno di noi mettesse più cuore il mondo sarebbe diverso e di certo migliore».
Nella tua carriera musicale hai all’attivo sette album, trecento canzoni, delle quali solo una in napoletano: perché?
«Questa mia scelta di scrivere solo in italiano, molto ponderata, è legata all’idea che per utilizzare il napoletano bisogna esserne in grado perfettamente per non sfigurare rispetto alla vera musica classica napoletana che ci caratterizza nel mondo. Credo che sia opportuno utilizzare il napoletano solo quando si ha veramente qualcosa da dire».
Pino Daniele e Claudio Baglioni: cosa rappresentano per te?
«Devo a Pino Daniele tantissimo. Nella pandemia con le persone che mi seguono facevo delle live ogni giorno interpretando cantautori di vario genere ed una sera ho fatto la serata dedicata a Pino Daniele. Mi sono così appassionato a Pino in quel momento che ho cominciato a scrivere canzoni in quel mood. Devo però specificare che il mio essere musicale è più vicino a Claudio Baglioni di cui sono molto amico».
Cosa pensi della musica di oggi?
«La musica oggi è fatta di loop e sequenze scaricate dal pc, ma non è musica questa. Viviamo un periodo oscurantista che spero finisca presto».