Il cinema di Oliver Stone lo abbiamo imparato a conoscere tutti. Una sintassi documentaristica che ha impreziosito i titoli più importanti della sua filmografia, da Platoon, Nato il quattro Luglio e JFK, solo per citare i più importanti Oscar che hanno decretato un successo devoluto da un regista che ha elaborato un cinema di pancia maturato sulla formazione umana personale, garantendo così quell'empatia con il soggetto che felicemente riesce a conciliare quel realismo necessario alla credibilità della propria sceneggiatura. Con Snowden, Stone è riuscito a raccontare, in maniera minuziosa e attendibile, la motivazione ideologica di un ragazzo che ha creduto necessario difendere un diritto umano violato (a suo parere) dallo stesso Governo americano. Un Diritto alla Privacy delle persone che è costato la libertà di chi ha ritenuto opportuno portare allo scoperto la realtà dei fatti: Edward Joseph Snowden.
Centotrentaquattro minuti che iniziano con la determinazione di un Edward Snowden (un credibile Joseph Gordon-Levitt) assillato e paranoico, tra le mura di una stanza di un albergo ad Hong Kong, a rivelare la sua storia alla documentarista Laura Poitras (Melissa Leo) e al giornalista del The Guardian, Glenn Greenwald (Zachary Quinto). Cellulari “sequestrati” e messi in un forno a microonde. Una coperta per nascondere la frettolosa digitazione di una password, per mostrare quella chiave d'accesso informatica ai programmi più rilevanti (il Prism tra i più importanti, per la sorveglianza elettronica dei dati internet) che hanno separato per sempre le strade della NSA (National Security Agency) e del suo delfino più accreditato dallo stesso Corbin O'Brian (un monolitico Rhys Ifans), mentore della CIA, il primo a credere nelle elevate capacità del giovane Snowden.
Centotrentaquattro minuti che raccontano la caparbietà di un ragazzo che vuole servire il proprio paese, arruolandosi nelle Forze Speciali, ma costretto al congedo per un incidente causato dal forte addestramento che il fisico di Edward non può sopportare, rompendosi una gamba e rinunciando all'ambizione più dignitosa della sua vita: quella di combattere in Iraq per liberare le persone dall'oppressione. Ma la fine di quel sogno apre una nuova visione al poco più che ventenne Snowden, decidendo di dare il proprio contributo passando dalla porta principale della CIA, attraverso l'Università del Maryland, per destreggiarsi come tecnico informatico sulla sicurezza. Incisiva è la conoscenza di Hank Forrester (Nicolas Cage, già “arruolato” da Stone per l'anacronistico World Trade Center), amareggiato informatico sul tramonto di una carriera, da cui si è visto sottrarre l'originalità di un programma di sistema che poteva donargli qualche onere migliore.
Centotrentaquattro minuti che raccontano la storia di un amore messo a dura prova dalla stressante routine di un lavoro che lascia poco spazio alle emozioni personali; quella tra Edward e Lindsay Mills (una misuratissima Shailene Woodley), promettente fotografa conosciuta attraverso una “banalissima” chat, per diventare una delle figure più forti e solide nella vita del giovane. Per lui è stata capace di rigenerare la propria vita passando attraverso le esigenze di un protocollo formale che li vede costretti a cambiare destinazione e residenza, riciclando affetti e amicizie, passando dal Giappone alle Hawaii, quest'ultima per assecondare una forma di epilessia che ha destabilizzato la salute di uno Snowden sempre più scosso da quella presa di coscienza maturata da quella “facilità” di controllo di metadati che coinvolge il flusso della vita privata di miliardi di persone, progettando un programma segreto volto a mirare la congestione delle connessioni mondiali in tempo reale.
Centotrentaquattro minuti che raccontano il definitivo distacco di Snowden, nel 2013, dallo stesso Governo statunitense, per quella decisione morale maturata con audacia e la consapevolezza di una via di non ritorno, tracciando un solco incolmabile (definito Datagate) con quella politica propagandistica che aveva abbracciato con un Obama alle primarie, sentendosi poi deluso da quella imponente macchina di protezione che il presidente stesso difende con un Grande Fratello ostentato senza indecisioni o turbamenti etici. Quella fuga dall'Hotel, subito dopo aver raccontato i fatti al reporter Glenn Greenwald, per diventare un esiliato in cerca di protezione, per una pena detentiva che può mettere in serio pericolo la stessa incolumità dei giornalisti che lo hanno appoggiato e sostenuto. Una conferenza tenuta via Internet, protetto dal Governo sovietico, per far sentire la propria voce e la propria ragione, con quella candida coscienza di chi ha sempre creduto nella grandezza del proprio paese.
Centotrentaquattro minuti che hanno, come epilogo, lo stesso Edward Joseph Snowden. Quello reale, che prende il posto di un attore che ha dato voce alla sua ragione, parlando con un sorriso che si apre al mondo, tra quei cortei di protesta che marciano inneggiando alle maschere di Snowden come un simbolico monumento a quell'Anonymous che si rivolge a chi cerca di forgiare una coscienza perduta (falsamente celata dal terrorismo, a detta di Snowden), forse da un sistema che involontariamente può portare morte e distruzione con troppa facilità. Un mondo sorvegliato dai droni, vere macchine da guerra dagli effetti micidiali. Un mondo che, in un decennio, ha conosciuto l'enorme sviluppo di un sistema di comunicazione sorretto da quei social network che hanno agevolato uno scambio di informazioni e di dati dal peso incalcolabile, oggi più che mai sensibilizzato da una campagna per la privacy in rete che vuole riportare il valore autentico dei rapporti interpersonali al giusto equilibrio.
Centotrentaquattro minuti per considerare Edward Snowden un difensore dei diritti umani, per l'impegno e il coraggio con cui ha sostenuto le proprie azioni, per il bene di una popolazione mondiale che rischia di perdere quella dimensione reale a scapito della propria incolumità, civile e morale.
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vannucci-dicinema.blogspot.com 2022 09 oliver-stone-e-la-sua-partita-con-la.html