di Claudio Nassisi, Dottore Commercialista e Phd in economia e socio Aidr
Cosa hanno in comune un’automobile, un cellulare e un peacemaker?Di sicuro all’interno hanno almeno un chip che ne gestisce le funzionalità.
Nati alla fine degli anni ’50 dai laboratori della Texas Instruments, i circuiti integrati sono diventati elementi basilari per la componentistica di qualsiasi apparecchio che utilizziamo nel quotidiano.
Per la loro valenza strategica sono stati recentemente oggetto dell’attività della Commissione Europea che si è espressa in termini di sovranità tecnologica. Il mercato dei chip è infatti piuttosto definito. Il leader mondiale è Taiwan e a seguire la Corea del Sud con Samsung e TSMC in una posizione di quasi monopolio.
Il mercato asiatico è anche leader mondiale nel settore della fabbricazione e nell’assemblaggio dei semiconduttori che, a loro volta, sono alla base dei microprocessori stessi. L’Unione Europea è invece una importatrice netta di tecnologia con una quota di produzione di chip pari a circa il 9% del totale. Tenuto conto di questo sbilanciamento evidente nella dislocazione dei principali player del mercato e delle vulnerabilità emerse nella fornitura di questo tipo di componenti nel corso della pandemia dovuta al Covid-19 (che ha coinvolto pesantemente anche il settore automobilistico), la Commissione europea ha ritenuto necessario prevedere una strategia finalizzata a colmare il gap in questo settore industriale.
Lo scorso settembre 2021 il Presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen ha anticipato un Chips Act europeo nel suo discorso sullo stato dell’Unione finalizzato a coordinare gli investimenti nazionali e internazionali. Un’azione analoga è stata già intrapresa dagli U.S.A. alla fine del 2020 per una spesa complessiva di 52 miliardi di dollari fino al 2026.
In sintesi ci si propone di raggiungere almeno il 20% della produzione mondiale entro il 2030 cogliendo l’opportunità di sviluppare un mercato digitale e un miglioramento produttivo del settore tech che sia radicale.
Tale iniziativa segue quella intrapresa nel dicembre 2020 da 22 Stati membri che hanno deciso di intensificare i propri sforzi per stimolare la produzione di processori e semiconduttori per affrontare al meglio le sfide in termini di sicurezza e di sviluppo tecnologico.
Gli sforzi europei devono essere finalizzati al settore produttivo e ai materiali, all’integrazione delle singole soluzioni, a un incremento della presenza in settori ad alta crescita come quello dei trasporti, delle comunicazioni, dell’energia e, infine, a valorizzare la ricerca e il capitale umano presente nelle università e nei centri di ricerca.
In sostanza, gli obiettivi strategici europei saranno: il rafforzamento della leadership nella ricerca e nel potenziale tecnologico; il potenziamento della capacità di innovare nel settore dei chip più performanti e con consumi energetici ridotti; l’adeguamento della capacità produttiva entro il 2030 dopo il quale è prevista una crescita significativa della domanda; la possibilità di attrarre nuovi professionisti tenuto conto dell’importante deficit attuale; la creazione di una rete di soggetti imprenditoriali in grado di prevenire e rispondere in maniera adeguata alle future eventuali crisi internazionali.
Al fine di rafforzare la propria capacità di innovare sono stati previsti investimenti dedicati anche mediante i programmi Horizon Europe e il Digital Europe che si andranno ad affiancare ai prevedibili investimenti privati.
In pratica sarà prevista una nuova modalità di produzione dei chip che consentirà di sviluppare nuove applicazioni per i processori e semplificare le fasi precedenti alla messa in produzione degli ultimi modelli (test dei prototipi prima della fase di commercializzazione) accorciando dunque la catena tra la fase Lab (laboratorio) a quella Fab (produzione e commercializzazione).
Saranno quindi individuate due categorie di industrie: quelle che progettano e producono per gli altri soggetti industriali e quelle che producono invece per il proprio mercato.
Per avere diritto agli incentivi gli impianti dovranno essere i “primi nel loro genere”.
Forse non a caso è arrivato l’annuncio di Intel, dagli U.S.A., ha deciso di investire in Europa circa 80 miliardi di euro in 10 anni a partire dal 2023 per realizzare impianti di ricerca e sviluppo connessi al settore dei semiconduttori con la messa in produzione a partire dal 2027 e la conseguente creazione di nuove possibilità di impiego per i profili più specializzati.