23 settembre 2021 – “Ho avuto la sfortuna-fortuna, nella mia lunga carriera, di vedere due grandi pandemie già incardinate nella storia dell’uomo: quella dell'HIV degli Anni ’80 e quella recente del Covid”, ha dichiarato Francesco Menichetti, Direttore di Unità Operativa - U.O. Malattie Infettive azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, nel corso del webinar “HIV: una pandemia silenziosa. Migliorare la presa in carico del paziente: stato dell’arte e spunti per il futuro. Focus Toscana”, organizzato da Motore Sanità. “Per il Covid abbiamo un vaccino efficace, mentre non abbiamo al momento cure, tranne i monoclonali che ancora incontrano la doverosa strada di consolidamento e sviluppo. Per l’HIV sono passati oltre 40 anni e non abbiamo né un vaccino, né una terapia eradicante. Abbiamo però una efficace terapia soppressiva cronica, che determina una lunga sopravvivenza, che significa un cambio di scenario clamoroso. Abbiamo visto svilupparsi nuovi reparti di malattie infettive. Con il passaggio di un’assistenza in ospedale a un’assistenza ambulatoriale, la tentazione di riconvertire gli spazi con finalità improprie per alcuni è stata irresistibile. Ecco che arriva la pandemia da Covid, ecco che le strutture che potevano in modo solido e pronto fronteggiare questa sfida non erano preparate né attrezzate, perché quegli spazi e quei letti erano stati diversamente utilizzati e collocati. Io spero che, da parte della Regione Toscana e delle amministrazioni ospedaliere, questo sia motivo di riflessione. Ecco quindi l’altra riflessione: ha ancora senso considerare l’HIV una patologia di esclusiva competenza specialistica e gestita in ospedale? La mia risposta è no, contro il mio interesse, ma il lungo sopravvivente con infezione da HIV ha patologie concomitanti di diversa natura: vascolari, di invecchiamento, oncologiche, cardiovascolari. Oltre che a superare lo stigma della persona HIV va superato lo stigma dell’ammalato di esclusiva competenza dell’infettivologo. Ancora invece c’è molta resistenza, anche dentro l’ospedale. L’altro passaggio importante è cominciare a parlare con l’infettivologo del territorio e creare dei centri multidisciplinari e di primo livello, affinché questa patologia esca dall’ospedale e possa ricevere le cure adeguate”.
Due le risposte a questa necessità: fare rete e l’utilizzo della telemedicina, come hanno evidenziato bene la dottoressa Sabrina Bellini, Presidente LILA Toscana e Danilo Tacconi, Direttore dipartimento malattie infettive Ospedale San Donato Arezzo, chiamati a intervenire durante il dibattito.
“La LILA (Lega italiana per la lotta contro l’AIDS) non è sola in Toscana, ci sono altre associazioni con le quali facciamo rete e questo è molto importante", sono state le parole di Sabrina Bellini. "La rete per la qualità dei cittadini è un vantaggio grosso, però il lavoro da fare per mantenerla attiva ed efficiente è molto difficile. Penso si possa arrivare all’idea di questa territorialità complessa ma efficace, noi come associazione stiamo cercando di specializzare sempre di più i nostri volontari e i nostri operatori. L’operato delle associazioni si sta davvero evidenziando sempre più come qualificato e questo può essere un aiuto sia in termini di capacità di portare sul territorio la cura, sia di trovare il modo di collegarci e fare rete”.
Quanto alla telemedicina sappiamo bene che la pandemia ha favorito questo tipo di risposta, limitando il faccia a faccia tra medico e paziente, per contenere il contagio non solo di questo evento catastrofico, ma anche per proseguire la presa in carico dei pazienti cronici (non solo HIV, ma anche dei diabetici, cardiopatici, broncopatici, che sono seguiti a domicilio).
“Da medico, però, non dimentichiamoci che, se da una parte l’impegno di alfabetizzazione digitale è grande, dall’altra c’è anche la volontà di certi specialisti che è limitata rispetto all’uso di queste tecnologie”, ha chiosato Danilo Tacconi, Direttore dipartimento malattie infettive Ospedale San Donato Arezzo. “Nella nostra struttura abbiamo avuto un numero alto di consulenze per pazienti diabetici. La telemedicina dovrebbe aiutare a spianare la strada per l’assistenza sanitaria efficace, centrata sul paziente cronico facilitando l’interazione tra paziente e operatori sanitari. Alcuni individui possono trarre molti benefici dalla telemedicina, altri meno. Un rischio è che la telemedicina possa aumentare la disuguaglianza di accesso, penalizzando i pazienti meno esperti o più poveri”.