In uscita il 29 marzo 2020 la nuova release discografica dedicata alla farsa in un atto "Il signor Bruschino" di Rossini. Lo abbiamo ascoltato in anteprima e recensito per voi.
Succede, talvolta, che il convincimento di un artista creatore non collimi col giudizio della Storia. Michelangelo, che si considerava essenzialmente uno scultore, sarebbe diventato famoso in tutto il mondo per la Cappella Sistina; Rossini, che si considerava essenzialmente un compositore di opere serie, sarebbe stato eternato dalle sue opere buffe, e dal “Barbiere di Siviglia” in particolare. “Il signor Bruschino”, farsa in un atto, fu un piccolo capolavoro giovanile del compositore pesarese e questa versione, bisogna riconoscerlo, lo presenta come tale. Simone Perugini, grande direttore in repertori leggermente più antichi – con particolare riferimento a quello di fine Settecento, si sposa con Rossini in maniera pressoché perfetta, coniugando quel “bello ideale” che distinse i lavori del compositore pesarese a una gestualità estremamente vitalistica, piena di joie de vivre, vibrante in ogni minimo particolare, risolvendo con estrema naturalezza e gusto il paradosso di una musica a un tempo dionisiaca e sublimata. Uno dei luoghi privilegiati di queste congiunzioni è nel ritmo: si confronti il duetto iniziale, “Deh, tu m'assisti amore”, con l’aria di Lucilla “Sento talor nell’anima” nella scena nona de “La scala di seta” (Rossini ne riutilizzò infatti il materiale nel “Bruschino” ma nell’interpretazione piuttosto scialba e scolastica di Gabriele Ferro (cd Warner Fonit), e si comprenderà palesemente come il piglio di Perugini permetta a questa forza cinetica di esprimere pienamente il suo significato più alto. E gli equilibri sonori (corroborati da una registrazione VDC Classique come sempre impeccabile) creati fra compagine orchestrale da un lato – una Fête Galante Baroque Orchestre in splendida forma – e cantanti dall’altro, permettono di gustare quella “follia organizzata” di stendhaliana memoria senza sacrificare né le trame contrappuntistiche, presentate con nitore, né le evoluzioni canore, lasciate fiorire liberamente. Il belcanto, appunto. Che in questa versione può valersi di un cast verrebbe da dire: idoneo (una volta Riccardo Muti disse che la voce di Fischer-Dieskau, pur essendo sublime, non è adatta al repertorio verdiano); esemplare è il Gaudenzio di Roberto Vicarelli, il Bruschino padre del grande interprete iraniano Irving Hussain e il Florville del giovane tenore Nicholas Porrington, cui si accompagnano ineccepibili la Marianna di July Wason, il Bruschino figlio di Luigi Rocchetti e lo strepitoso Filiberto interpretato dal napoletano Roberto De Rosa. Ma dove naturalmente quel belcanto trionfa e splende è nella Sofia di Laura Valdarnini, qui la migliore fra tutti: difficilmente si troverà una versione dell’aria “Ah, donate il caro sposo” più perfetta, nell’aderenza all’intenzione poetica rossiniana prima ancora che in aspetti meramente tecnici quali il fraseggio, le colorature, i legati, le variazioni sempre appropriate. Inoltre, non si può tacere il fatto che questi cantanti si conformano tutti, e con coerenza, al dettato interpretativo di Perugini, senza deviazioni illogiche, senza sbavature, senza allentamenti di tensione; e che, come peraltro richiedeva l’opera buffa dell’epoca, essi mostrano anche (pur se non tutti allo stesso grado) delle notevoli capacità attoriali nell'interpretazione vocale e, diremmo quasi fisica, dei recitativi secchi, magistralmente accompagnati al fortepiano dallo stesso Perugini.
Laura Chiarotti
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