Ecco l’intervista a Davide Uria, nato nel 1987 a Trani e laureato in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. Scrittore e illustratore, ha esordito nel 2017 con la sua prima silloge poetica *Trame d’assenza*, pubblicata da Augh! Edizioni. Nel 2020 ha collaborato con Mariateresa Quercia per il progetto autopubblicato *Panacea. Al di là dell’abisso*, una raccolta di poesie di Uria accompagnate dalle illustrazioni di Quercia, che è stata segnalata da Artribune tra le pubblicazioni più interessanti di maggio 2020.
Le sue poesie hanno trovato spazio su Rai Poesia, Il Visionario, Yawp, Leggere Poesia, Frequenze Poetiche, La Repubblica, Il Corriere, Le Parole e sono state tradotte in spagnolo sulla rivista peruviana Kametsa. Nel 2023 ha pubblicato come autore indipendente la raccolta *Non mi vedi*, seguita nel 2024 da *Oltre Tempo*, anch’essa autopubblicata.
Chi è Davide Uria?
Non mi piace raccontarmi direttamente, preferisco che siano i versi delle mie poesie a narrare le trame della mia vita. Tuttavia, posso esprimere la mia gratitudine verso la creatività, un dono che mi ha permesso di esprimere la mia essenza. È grazie alla creatività che sono diventato una persona sensibile, capace di farsi trasportare dalle emozioni, di trasformare ogni esperienza in un momento di riflessione, una materia da modellare per raccontarmi attraverso l’arte. La poesia è il mio mezzo prediletto, una finestra attraverso la quale osservo e interpreto il mondo, ma anche una sorta di diario interiore, un luogo dove la mia anima si rifugia.
Che cos’è per te la parola?
La parola è un mezzo potentissimo, capace di esprimere tutto ciò che si cela dentro di noi. Può essere un’arma, a volte più tagliente di una lama. Essendo un esteta, sono affascinato dalla ricerca della parola perfetta, quella che riesce a catturare l’essenza di un concetto. In un’epoca in cui si privilegia ciò che è semplice e immediato, io scelgo di andare controcorrente. Inserire un termine complesso nei miei versi non è un esercizio di vanità, ma un invito al lettore a scavare più a fondo, a riflettere. Credo sia fondamentale prendersi del tempo per meditare su ciò che ci circonda. La mia poetica si concentra su questo; sulla necessità di fermarsi, di ritagliarsi momenti di calma nella frenesia quotidiana, sfidando la tendenza contemporanea che vede i prodotti culturali – siano essi letterari, musicali o artistici – come qualcosa di consumabile rapidamente, senza richiedere alcuno sforzo mentale.
Per scrivere bisogna prima leggere molto. E la poesia, si sa, viene letta pochissimo. Quali sono i tuoi modelli, i tuoi Virgili?
È vero, la poesia viene letta poco, ma è anche vero che è spesso abusata sui social. Ogni giorno, vedo citazioni poetiche utilizzate come semplici cornici per immagini, spesso per dare un’impressione di cultura che non è autentica. I miei modelli sono vari e provengono da diversi ambiti. Tra i poeti, mi ispiro ad Antonin Artaud, Alda Merini, Charles Baudelaire, Federico García Lorca e Rainer Maria Rilke. Ma la mia ispirazione non si limita alla poesia: anche la musica ha un ruolo fondamentale, con artisti come Franco Battiato, Carmen Consoli e Björk. Il cinema, inoltre, è una fonte inesauribile di stimoli per me, con registi come Michel Gondry e Lars von Trier che hanno influenzato profondamente il mio modo di vedere e creare.
La tua porta interiore è la poesia. È attraverso i tuoi versi che cerchi di capire il mondo?
Sì, la poesia è la mia porta interiore, ma non solo per comprendere il mondo esterno, quanto per crearne di nuovi. Un mio professore una volta disse che chi scrive poesie non descrive la realtà, ma la reinventa. E io sono d’accordo. Pur essendo ancorato alla dimensione reale, alla vita quotidiana e alle sue dinamiche, la poesia mi permette di applicare un filtro, di trasfigurare il reale per dar vita a un mondo nuovo, più intimo e personale. È un processo di creazione continua, dove la mia visione del mondo si intreccia con l’immaginazione per generare una nuova realtà, che esiste solo nelle mie parole.
“Le nostre braccia prolungate/diventeranno rami”; nella tua poesia le parti del corpo diventano spesso parti della natura. Perché?
Le parti del corpo nelle mie poesie non diventano parti della natura, lo sono già. L’uomo è un elemento della natura, in sintonia con il mondo che lo circonda, anche se spesso tende a dimenticarsene o a non rispettarlo. La vita umana è profondamente legata ai cicli naturali, al loro andamento armonico e inevitabile. La natura è un’entità onesta e genuina: può essere malvagia e al contempo benevola, ma sempre senza secondi fini, segue semplicemente il suo corso. Non c’è cattiveria in essa, solo una sequenza di eventi che avvengono come devono. Questo dualismo mi affascina, perché riflette anche la complessità della condizione umana.
Oltre a scrivere poesie, crei illustrazioni. Nei tuoi disegni, i volti e i corpi appaiono allungati. C’è un motivo per questa scelta stilistica?
Sì, questa scelta è il risultato di un percorso di ricerca personale. Quando ho iniziato a lavorare a quella serie di illustrazioni, stavo cercando un mio stile distintivo e mi sono lasciato attrarre dalle forme geometriche. Il rettangolo, in particolare, rispondeva a una mia esigenza espressiva e ha influenzato l’allungamento dei volti e dei corpi nelle mie opere. Queste figure allungate rappresentano una mia interpretazione della realtà, un modo per esprimere un concetto di bellezza che trascende le proporzioni canoniche, giocando con le forme per creare qualcosa di unico e riconoscibile.
Che cosa è per te l’arte?
L’arte, per me, è tutto ciò che nella vita quotidiana non possiamo fare. Non si tratta di essere folli, ma di spingere i confini della normalità per creare qualcosa di spettacolare. L’arte deve avere la capacità di stupire, di provocare, di farci uscire dalla routine. Non concepisco la banalità nell’arte; credo che se un’opera non riesce a farci meravigliare o a turbarci, allora non ha davvero colto nel segno. L’arte deve essere un’esperienza che ci porta altrove, che ci fa vedere il mondo con occhi nuovi. Se manca questo, tanto vale sedersi al parco e osservare la gente che passeggia.
Una delle poesie a cui sei più legato?
“Tra i rami e le nuvole” è una delle mie poesie più care. Questo testo rappresenta il mio luogo ideale, un equilibrio tra l’astratto e il concreto. I rami tendono verso il cielo, aspirano alla libertà, ma sono comunque vincolati alla terra, ancorati al tronco dell’albero. Le nuvole, invece, sono libere, possono muoversi senza vincoli. Questa contrapposizione riflette la mia filosofia di vita: una tensione costante verso la libertà, senza mai dimenticare le proprie radici, la propria identità.
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