«Fin dai primissimi frammenti di questa densa silloge bilingue s’intuisce quanta verità racchiudano i versi semplici ed estremamente eleganti di Niccolò Leogrande, giovane autore fatto di mare e di vento che ha da sempre il cuore e l’anima spalancati al mondo per farci entrare dentro tutto… ma proprio tutto, da un petalo di prato a ogni atomo dell’universo». Le parole scritte nella Prefazione da Francesco Gazzè, il paroliere fratello del noto cantante Max, consentono di introdurre il lettore, in punta di piedi ma con la giusta intensità, all’opera “Sogno di un Ploto” del giovane Niccolò Leogrande, classe 1992, cresciuto tra le calde spiagge e il mare azzurro di Taranto e i muretti a secco e i boschi della vicina Martina Franca, prima di trasferirsi a Londra per studiare architettura, letteratura e cinema.
La storia di Niccolò e della sua opera, pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia”, è una nobile testimonianza di una sensibilità speciale che caratterizza il pensatore. Della condizione di chi si stacca dalla realtà e vive in uno stato di coscienza alterato, che diventa col tempo la propria normalità. E’ un invito alla riflessione sul concetto di normalità imposto dalla società. Oggi, Niccolò, a causa della sua malattia, non riesce più ad esprimersi in autonomia, ma le poesie restano lo specchio di un’anima, leggera e lontana dal mondo concreto. «La decisione di pubblicare le sue poesie - raccontano Antonello e Antonella, papà e mamma di Niccolò - tutte scritte in precedenza, è stata un nostro dono per aiutarlo a ricordare, ricordarsi e ricostruire il suo percorso». Il titolo dell’opera è tratto dall’omonima poesia “Sogno di un Ploto” scritta da Niccolò, l’ultima, in cui lui sembra voler descrivere tutto ciò che gli sta accadendo a livello interiore. Quella sensazione di essere altrove; in un altro spazio e in un altro luogo. «E’ l’inizio di un viaggio. Di un viaggio della sua coscienza verso un’altra dimensione, che è quella in cui oggi effettivamente vive».
In una continua dialettica tra sogno, surreale, e realtà, la poesia di Niccolò ha proprio questa peculiarità, di fondere elementi di realtà e di sogno, quasi a voler descrivere la facilità con cui si può passare da una dimensione all’altra. Nei versi - scritti in un arco di tempo che va dalla sua adolescenza sino all’inizio dell’età adulta - è impressa la tematica della natura in tutte le sue forme, in maniera più frequente il mare ma anche i boschi e i loro abitanti, reali e fantastici. Ma la realtà viene spesso riletta per accompagnare il lettore in un viaggio onirico che mostra la fragilità dell'uomo, sempre sospeso tra la realtà stessa e il sogno. Nelle poesie di Niccolò non c'è un punto privilegiato di osservazione, perché è continuo lo slittamento tra esterno e interno, l'alto e il basso, il materiale e l'immateriale, l'intimo e il superficiale. Alcune liriche Niccolò le trascrive anche in inglese, proprio a dimostrazione del rapporto familiare con questa cultura, dalla letteratura, alla musica e al cinema, avendo, appunto, studiato e trascorso gli anni universitari in Inghilterra.
«La scrittura riflette un mondo interiore confuso e irreale - spiegano la mamma e il papà di Niccolò - pertanto le rime a volte compaiono e scompaiono, le strofe non sono sempre uguali, non c'è uno schema metrico ma un uso sapiente della parola, della sua musicalità e delle assonanze, tanto da spingersi ad inventare nuovi termini. Riteniamo che il suo intento più profondo fosse quello di mostrare la fragilità dell’uomo rispetto al mistero della vita. Probabilmente Niccolò ha iniziato a sperimentare questo fondersi dell’uomo con il suo mondo onirico e, gradualmente, questo stato quasi allucinatorio sembra averlo fagocitato. Ma crediamo che nel suo percorso volesse comunicare come questo salto fuori dalla realtà così affascinante possa rivelarsi altrettanto pericoloso».
Federica Grisolia