Quando Cameron ha alzato la statuetta gridando “Sono il padrone del mondo”, alla celebrazione degli Oscar di qualche decennio fa, nessuno poteva sospettare che aveva già in mente un progetto (le prime ottanta pagine le aveva scritte quattro anni prima) ancora più sofisticato di quel popò di assaggio che aveva contraddistinto il suo naufragio condito di computer grafica che poteva conciliare dramma amoroso e suspense “manovrata ad arte”, tra riprese in immersione che hanno innalzato una passione del regista che è diventata puro cult hollywoodiano, visto gli albori di una tecnica altamente espressa nel primo Abyss, dove una incredula Mastrantonio poteva ammirare una creatura d’acqua materializzarsi nei prodigi di una neonata animazione in digitale, implosa in quell’epilogo che ha deliziato il palato di ogni intenditore, apostrofando un lasso di tempo che non ha minimamente scalfito le doti di un regista che ha voluto superare se stesso, unendo tradizione e tecnologia al passo coi tempi (ha appositamente inventato una macchina da presa per le prodezze virtuali), freneticamente coinvolti in quel vortice di gioco virtuale che oggi rappresenta il nuovo cinema in 3D. Il risultato è Avatar, una favola moderna che riscopre la tradizione della mitologia greca reinterpretata dal regista (in veste di sceneggiatore e coproduttore insieme a Jon Landau), dove il destino riversato nel conflitto amoroso rappresentato dalla bellezza indigena di una Na’Vi (la razza aliena che popola il pianeta Pandora), nelle sensuali forme di una rielaborata Zoë Saldaña (la combattiva Neytiri), risolleva le sorti affidate al soldato terrestre Jake Sully (l’attore Sam Warthington), invalidato su una sedia a rotelle, con il compito di entrare nel corpo di un nativo del popolo “blu”, un ibrido creato geneticamente in laboratorio per poter controllare (secondo il volere di una potente compagnia extraspaziale che trivella pianeti in cerca dell’Unobtainium) i dissensi che una tale azione può (a ragione, visto gli echi ambientalisti contemporanei) scatenare. Tutto questo grazie alla tecnologia sfruttata da una interfaccia mentale (realmente usata per i controlli delle tecnologie a distanza) che permette di collegare empaticamente le onde celebrali di due entità; il buon Jake comodamente sdraiato “in coma”, sotto le direttive di una ritrovata e adeguatissima Sigourney Weaver (la dottoressa Grace Augustine, per non dimenticarci di Ripley nel suo Aliens-Scontro finale) e il suo alter ego Avatar, impegnato a guidare i nativi del pianeta verso quella dissuasione che lo porterà inevitabilmente (per amore di Neytiri) a debellare un conflitto etico riscoperto da quella nuova natura che ha definitivamente assorbito. Una sorta di Dune rielaborato per le moderne generazioni cresciute a PS3 (il gioco ufficiale del film è distribuito dalla Ubisoft), dove le abilità recitative vengono ampliate da un inebriante e sfarzoso vortice di pixel che non fanno rimpiangere i “preistorici” occhialini di cartoncino rossi-blu di vent’anni fa (a scapito di uno Squalo 3 in 3D) che oggi ci fanno ingenuamente sorridere di nostalgia. Per placare le rivendicazioni del predecessore Titanic, la colonna sonora riaffidata a James Horner, che regala una ritrovata hit nelle romantiche note di I See You cantate da Leona Lewis. Bentornati sul pianeta Pandora!
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vannucci-dicinema.blogspot.com 2022 09 cameron-riapre-il-vaso-di-pandora.html