Il “bavarese bergamasco” Giovanni Simone Mayr (1763-1845) è oggi ricordato soprattutto per essere stato il maestro di Gaetano Donizetti: maestro di cappella in Santa Maria Maggiore dal 1802, aveva istituito delle lezioni gratuite di musica per i ragazzi poveri di Bergamo.
Mayr fu anche un grande operista, fra i maggiori della generazione pre-rossiniana, scritturato e rappresentato in tutta Europa. Uno dei suoi capolavori, considerato all’epoca un’opera ‘intellettuale’ e avanguardista, è ‘Medea in Corinto’, scritta su libretto di un giovane Felice Romani che nel 1813 trionfò al ‘San Carlo’ di Napoli e che rimane tuttora il titolo più celebre di Mayr e sicuramente il più rappresentato.
Questa Medea ebbe numerose riprese in tutta Europa e diversi adattamenti. In particolare, il musicista ne realizzò una versione per le recite del 1821 al Teatro Sociale di Bergamo, rielaborando diverse parti dell’opera, specie quelle di Creusa e di Egeo.
È questa edizione che, per la prima volta in epoca moderna, viene rappresentata dal Festival per il progetto #donizetti200, nello stesso teatro per il quale fu scritta, esattamente due secoli dopo.
L’edizione critica della versione di Bergamo, realizzata da Paolo Rossini, permette di entrare nella ‘bottega’ compositiva di Mayr, cui forse non fu estraneo Donizetti che in quel periodo era disoccupato a Bergamo dopo i primi e non facili tre anni di carriera come operista.
‘Medea in Corinto’ è affidata a Jonathan Brandani che l’ha diretta negli Stati Uniti, mentre la regia di Francesco Micheli, direttore artistico del Festival, svela quanto c’è di contemporaneo e locale in quelle vicende apparentemente così lontane.
La compagnia raduna una serie di specialisti nel belcanto --così difficile ma anche modernamente espressivo- di Mayr. La parte della protagonista, esigentissima sia dal punto di vista vocale che da quello scenico, è affidata al carisma di Carmela Remigio, artista nota e amata dal pubblico del Festival.