IL MILITE IGNOTO
Tributare onori solenni a un Milite Ignoto, e cioè tecnicamente al cadavere di uno sconosciuto di cui si sa solo che ha combattuto in guerra a difesa della Patria può apparire un’idea bizzarra, agli occhi di noi moderni.
Mettiamoci però nei panni di un Italiano di inizio anni ’20, e cerchiamo di capire il profondo significato simbolico di tale gesto.
L’Italia (l’Europa intera!) alla fine della prima guerra mondiale era una nazione (un continente!) ripiegato nel lutto più stretto e più sconvolto. Non v’era famiglia che non avesse perso uno dei propri cari; non v’era donna che non avesse pianto tutte le sue lacrime carezzando la foto di quel marito, di quel fidanzato, di quel fratello, amico, figlio, che non aveva mai fatto ritorno dal fronte. L’Italia intera era in lutto stretto, ma non nel senso che ogni famiglia aveva dei morti da piangere: proprio nel senso che l’Italia intera, come comunità di persone, era provata e sconvolta da quanto accaduto. C’era un drammatico bisogno di rielaborare (e proprio come nazione) l’esperienza di lutto, per poi provare ad andare avanti.
Undici salme, provenienti dai più sanguinosi campi di battaglia, furono esumate tra il 3 e il 24 ottobre 1921, ricomposte con ogni onore, custodite in undici bare uguali, e poi condotte a Gorizia – una delle città italiane più duramente colpite dalla guerra – ove una camera ardente fu allestita nella chiesa di Sant’Ignazio. Dal 18 ottobre in poi – data dell’apertura al pubblico della camera ardente – la chiesetta fu oggetto di un pellegrinaggio ininterrotto, nonché (dettaglio triste, ma significativo) di vere e proprie scene di disperazione. Incredibile ma vero: più d’una volta, donne vestite a lutto cominciarono a strepitare implorando che fosse aperta davanti ai loro occhi questa o quell’altra cassa da morto. In quel processo di identificazione nazionale che, evidentemente, stava funzionando fin troppo bene, essere si convincevano di “sentire” che proprio lì, proprio in quel feretro, proprio davanti a loro, se ne stava il corpo del loro caro, sulla cui tomba non avevano mai potuto piangere.
Il 27 ottobre, le undici salme lasciarono Gorizia in un bagno di popolo. Caricate su un convoglio speciale, le bare dei nostri Militi Ignoti furono salutate dalle autorità civili e religiose. Le campane delle chiese ne accompagnarono l’ultimo, solenne viaggio, suonando a lutto in ognuno dei paesini attraverso i quali transitò il corteo funebre.
Meta finale: il duomo di Aquileia, in quella terra divenuta italiana grazie al sacrificio di tanti soldati come i nostri undici.
L’indomani, il coup de théâtre. Alla presenza delle autorità e della cittadinanza tutta, una donna del popolo avrebbe indicato quale, tra gli undici caduti, ella “sentisse” essere il Milite Ignoto.
E così fu: la fortunata (?) prescelta fu Maria Bergamas, triestina, classe 1867, e dunque cittadina dell’Impero austro-ungarico all’epoca dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Suo figlio Antonio, ovviamente austriaco anch’egli, aveva disertato la leva dell’Impero per servire quella che, evidentemente, in cuor suo considerava la madrepatria: arruolatosi nel Regio Esercito italiano, morì alle falde del Monte Cimone, e il suo corpo non fu mai identificato.
Il 28 ottobre 1921, Maria entrò nella Basilica di Aquileia vestita a lutto stretto, accompagnata da un gruppetto di vedove di guerra. Idealmente eletta “madre spirituale” del Milite Ignoto attorno a cui tutta Italia si stringeva, la donna fu incaricata, appunto, di indicare quale, tra gli undici caduti, “sentisse” essere suo figlio. La donna, silenziosa, passò in rassegna i primi feretri, ma arrivata davanti al decimo ebbe un mancamento: proprio su questo, dunque, cadde la scelta.
Molto tempo più tardi, la figlia di Maria confidò ai giornali che, quella mattina, sua madre era intenzionata a indicare l’ottavo oppure il nono soldato: due numeri che, per varie ragioni, erano legati nel suo cuore al ricordo di suo figlio. Ma ecco: di fronte all’ottava e poi alla nona bara, Maria provò un senso di vergogna – ché non poteva, per il suo dolce egoismo di madre, essere così di parte nell’assolvere il compito che le era stato dato.
E la scelta era stata fatta: e il Milite Ignoto era stato identificato.
Mentre gli altri dieci caduti venivano preparati per una sepoltura ricca d’onori nel cimitero di Aquileia, il Milite Ignoto veniva caricato su un convoglio di prima classe che, percorrendo la tratta Udine – Conegliano – Treviso – Venezia – Rovigo – Ferrara – Firenze – Arezzo, avrebbe infine raggiunto la capitale.
Destinazione? Il Vittoriano, naturalmente. Pochi sanno, però, che, inizialmente, era stata avanzata la proposta che il Milite Ignoto riposasse in ben altro luogo e in ben altra compagnia: ovverosia, nella chiesa del Pantheon, assieme ai re d’Italia.
Forse perché la famiglia reale non si era mostrata molto per la quale; forse perché il Vittoriano stava ancora cercando una sua precisa ragion d’essere: fatto sta che si scelse infine di seppellire il Milite presso il glorioso Altare della Patria, che – del resto – essendo un luogo aperto, avrebbe permesso un afflusso di pubblico libero e ininterrotto, senza limiti di orario o di capienza.
All’alba del 29 ottobre, il Milite Ignoto intraprende il suo ultimo viaggio. Lo accoglie – in ogni singola, sperduta stazione del più piccolo paesino in cui il treno sosta – una folla di gente commossa e in lacrime. I popolani si inginocchiano al passare della salma (!), le donne corrono lungo le rotaie inseguendo i vagoni e piangendo col capo appoggiato al duro legno. È come se proprio in quel momento – e solo in quel momento – la nazione cominciasse finalmente a stringersi , unita, attorno al lutto per colui che, essendo il figlio di nessuno, è un po’ il figlio di tutti.
Il treno procede quasi a passo d’uomo, sostando per cinque minuti in ognuna delle stazioncine che incontra. Quindici vagoni interi (!) vengono via via riempiti delle corone di fiori con cui il popolo vuole omaggiare il soldato caduto – e a tutelare che il passaggio del feretro abbia luogo in modo decoroso e consono alla situazione, la forza pubblica prescrive che il popolo accolga il corteo funebre nel più completo silenzio, e senza alcun tipo di stendardi o di insegne a indicare appartenenze politiche o ideologiche, al di fuori del tricolore nazionale. Unico suono ammesso, accanto ai singhiozzi delle donne, le note de Il Piave mormorava: ma che nessuno azzardi a improvvisare comizi, o peggio ancora a trasformare il Milite Ignoto in un simbolo politico di questo o quel partito.
E poi, tutto il resto è storia nota. L’arrivo a Roma, le esequie solenni a Santa Maria degli Angeli, la lenta processione fino all’Altare della Patria, la sepoltura nel punto più glorioso di Roma tutta. Fu la prima, grande manifestazione patriottica dell’Italia unita, che davvero unì sotto lo stesso abbraccio di cordoglio tutta la popolazione, da Nord a Sud. Piegata dal dolore, ancora ferita dalle guerre: l’Italia usciva pian piano dal lutto, e si scopriva nazione.
Estratto da un articolo scritto da una non meglio identificata “Lucia” (Una penna spuntata).
Giuseppe Troilo